10 Poesie di JAROSLAV SEIFERT da LA COLONNA DELLA PESTE

Nella sala d’aspetto del dentista
sulle pagine di una rivista consunta
trovai l’immagine di una rosa tanagra.
Ne avevo vista una simile anni fa
in una vetrina del Louvre.

L’hanno trovata nel sepolcro di marmo
di una giovanissima fanciulla
morta da tanto, prima di Cristo.
La tanagra conosce bene la morte.
Potrebbe parlare.
Tace.
E sorride.

*

Oggi so come in quel momento fatale
si comportano le donne
cui l’angelo non annunciò nulla.

Prima ansimano dal piacere,
poi singhiozzano,
per conficcare senza pietà le unghie
dentro la pelle dell’uomo.
E quando cercano di serrare il grembo
tendendo i muscoli,
il cuore in tumulto proietta nella loro bocca
parole selvagge.

*

Solo verso la vecchiezza ho imparato
ad amare il silenzio.
A volte eccita più della musica.
Nel silenzio appaiono vacillanti segni
e sugli incroci della tua memoria
ti capita di sentire dei nomi
che il tempo cercò di strangolare.

Nelle fronde degli alberi ascolto al tramonto
anche il cuore degli uccelli.
E una sera al cimitero
udii dal fondo di una tomba
scricchiolare la bara.

*

La notte, padrona del buio,
rovescia svelta l’aurora dal cielo
come l’acqua sanguinante
in cui fu trafitto Marat
dal pugnale della bella biondina,
e comincia a strappare alla gente
le stesse loro ombre
come il sarto strappa le maniche
quando prova la giacca.

Tutto è già stato, qui sulla terra,
non vi è nulla di nuovo,
ma guai agli amanti
che non sanno scoprire in ogni bacio
un fiore nuovo.

*

La notte, eterno formicaio di stelle,
e cosa ancora?
Nella verdeggiante penombra del bersò
si abbracciavano gli amanti felici.

Labbra baciate cento volte
sussurravano alle cento volte baciate labbra
infuocate parole.
E queste illuminavano la vita al sangue
che s’affrettava a terre di passione.

Come con due pugnali
trafiggevano con la lingua l’uno all’altra
la bocca socchiusa.

E la stella di quella sera fu Venere.

*

Il peggio ormai l’ho passato
mi dico, ormai son vecchio.
Il peggio dovrà ancora venire,
ancora sono vivo.
Ma se proprio volete saperlo,
sono stato felice.
A volte un giorno intero, a volte per delle ore,
a volte per pochi minuti soltanto.

Per tutta la vita sono rimasto fedele all’amore.
E se le braccia di donna sono più delle ali,
cosa sono le gambe?
Mi piaceva provarne la forza.
È tenera, quando stringono.
Che quindi le ginocchia
schiaccino la mia testa!

Se chiudessi gli occhi in questa morsa
non sarei come ubriaco
e non sentirei un martello così forsennato
nelle mie tempie.
Ma poi, perché chiuderli?

Ad occhi aperti
ho attraversato questa terra.
È bella, lo sapete anche voi.
Per me forse valeva più
di tutti i miei amori messi insieme.
E il suo abbraccio è durato tutta la vita.

Quando avevo fame
mi nutrivo quasi ogni giorno
con le parole delle sue canzoni.

Quelli che se ne sono andati
sparpagliandosi per altri paesi
l’avranno scoperto:
il mondo è orrendo!
Non amano e non sono amati.
Noi amiamo, almeno.
Che quindi le sue ginocchia
schiaccino la mia testa.

*

Là dove il lastrico si trasformava
in grumoli d’erba
e i fili di luce in ali di rondini
si accendevano tutte le sere di primavera
due lampade ad acetilene
presto accerchiate dalla notte,
e la vecchia giostra si metteva a girare.

Lentamente le coppie della sera
superavano lo spazio illuminato
per raggomitolarsi nel fitto cespuglio del buio
cosparso di stelle.

Poiché il più bello di tutti gli dèi
è Amore.
Fu così sempre e ovunque,
e non solo nella Grecia turchina
ma anche in quel nostro pidocchioso Zizkov
dove la città iniziava
o finiva. Come vi pare.
E dove nelle bettole si cantava
fino all’alba.

E nel girotondo tra zoccoli di cavalli
navigava elegante e nobile
un aristocratico cigno,
come strappato dalle pagine di Mallarmé.
E spiegava le ali.

*

Un tempo lo sparo del cannone sulle mura
annunciava mezzogiorno
e per un secondo di respiro
la fretta si arrestò.
Ci sono donne Alba, donne Meriggio
e donne Sera.

Le dita esitanti morbidamente vagavano
sulla pelle della riluttanza,
finché il pudore e la paura presero a fuggire
dai luoghi che tanto amiamo,
e l’onda della nudità, onda dopo onda
ci inondò bocca, occhi, volto
tornando verso le labbra
come verso la riva.

Così il mio sangue cominciò a fluire
nelle sue vene
e da lì al cuore, e dal cuore indietro
nelle mie arterie.

Né bramosia del potere, né avidità di gloria
sono così vertiginose
come le passioni d’amore.
Anche se magari
io non sono tra quelli
che ne furono stracolmi,
baciavo i piedi riconoscente.

Quando sogno le donne di questi giorni
e mi sembrano forse più belle
di come erano ai tempi della mia giovinezza,
è solo abbaglio e congettura.
Malinconia amara. E tanta pena.

Di recente mi sono capitate in mano
le foto ingiallite delle modelle di Mucha
nel suo studio parigino.
La stupefacente grazia di quelle donne d’un tempo
m’ha tolto il respiro.

Ci sono state due guerre, malattie e fame,
un fardello di miseria.
Allora al mondo non si stava bene.
Ma così era la nostra vita
quale che fosse.

*

La coroncina di salvia (A Frantisek Hrubin)

Volgeva il meriggio e c’era un silenzio
tagliato dal ronzio delle mosche
come da un diamante.
Sdraiati nell’erba presso la Sazava
sorseggiavamo lo chablis
rinfrescato nella sorgente del bosco.

– Al castello di Konopiste una volta
mi hanno permesso di esaminare
un vecchio pugnale dalla vetrina.
Soltanto dentro la carne, la molta segreta apriva
la triplice lama.
Così sono a volte i versi.
Non ce ne sono molti, certo,
ma è difficile strapparli dalla ferita.

– il poeta è spesso come l’amate.
Si scorda facilmente
l’impegno bisbigliato di tenerezza
e afferra la grazia più fragile
con un gesto brutale.
Ha il diritto di violentare.
Nel segno della bellezza,
oppure del dolore.
O nel segno di entrambi.
È questa invero la sua missione.

Gli avvenimenti stessi gli offrono
la penna pronta
per tatuare per sempre con la punta
il suo messaggio.
Non sulla pelle del petto
ma direttamente nel muscolo
che squassa il sangue.
La rosa e il cuore non sono però solo amore,
la nave solo viaggio o avventura,
il coltello assassinio
e l’àncora fedeltà fin dentro la tomba.
Gli ingenui simboli mentono.

La vita da tempo li ha superati.
Tutto può essere affatto diverso
oppure molto peggio.

Che quindi il poeta ubriaco di vita
vomiti tutta l’amarezza,
l’ira e la disperazione,
piuttosto che il suo canto diventi la campanella
appesa al collo delle pecore.

Mentre stavamo finendo la bottiglia
alzandoci dall’erba gualcita,
uno sciame di nudi bambini
si gettò nel fiume sotto di noi.
E una delle ragazzine
che portava tra i capelli paglierini
una coroncina di salvie bagnate,
si arrampicò su per una roccia
per sdraiarsi sulla pietra scaldata.

Ci vene quasi paura:
Dio mio,
ma non è più una bambina.

*

E addio

A milioni di versi nel mondo
aggiunsi appena un paio di strofe.
Non furono in nulla più sagge d’un canto di grilli.
Lo so. Scusatemi.
Ormai sto finendo.

Non furono neanche prime orme
lasciate in una polvere di luna.
E se pure ogni tanto hanno brillato
non fu di propria luce.
io ho amato questa lingua.

E lei, se labbra mute
a un tremito costringe,
facilmente indurrà gli amanti ai baci
quando vaghino in un rosso di paesaggio
dove declini più lento che ai tropici
il sole.

La poesia con noi va fin dal principio.
Come il fare l’amore,
come la fame, come la peste, come la guerra.
Talvolta furono stolti i mei versi
da far vergogna.

Ma non me ne scuso.
Andare in cerca di belle parole
credo sia meglio
che uccidere e massacrare.

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