11 Testi di PETR HRUSKA (da VOLEVAMO SALVARCI)

Un gran bel tonno

Un gran bel tonno
perché ci sconquassi
l’argento inestinguibile di quel pesce
sbattuto nella carta di giornale
di morto giornale per pesci
Un gran bel tonno
che basti per un po’ di tempo
perché ancora una volta
ci fremano i polsi
di fronte all’argento grave del mondo
reggerlo tra le mani passando accanto
alle ripide schiene
dei palazzi delle banche
per poi insieme spacchettare a casa il giornale
i grugni preelettorali impoltigliati d’olio di pesce
guarderanno con faccia ancor più da canaglia
l’enorme corpo sulla secca del giornale
sulla secca del tavolo
Un gran bel tonno
tanto che si incresperanno
i merletti sbiaditi del silenzio casalingo
tanto che d’un tratto ci ricorderemo
quel che diavolo avremmo voluto
in questo mondo

*

La porta

la porta si chiudeva sempre, da sola, così per anni e anni, con un lento movimento. Ora resta ferma dov’è.

Davanti a essa una donna alza colpevole una grande canottiera che nella notte è caduta dal filo. Un uomo guarda la donna che regge la canottiera. Forse è stato il vento. Durante la notte.

Entrambi vorrebbero sapere quando, quando esattamente è successo, entrambi avrebbero voluto esserci in quel momento.

*

Gatto

Gli animali padroneggiano l’essenza della geometria molto meglio.

Un gatto nero trova d’un tratto
l’asse della situazione,
il centro del luogo,
la sezione aurea del pomeriggio e vi si accoccola.

In mezzo alla notte si metterà seduto,
rizzerà il profilo,
per rendersi conto
che non appartiene a nessun luogo.

*

Banca ad Amsterdam

Sono desolata,
disse la donna a tutta la banca.
La voce si diffuse del discreto silenzio di vetro,
sono desolata,
disse con delicatezza
nel fresco monotono dell’aria climatizzata,
che immarmorava la pallida pelle
delle sue braccia e gambe scoperte,
sono desolata.
Risuonava da lontano.
Risuonava dall’infanzia,
dai luoghi in cui è accumulata la vita.
La banca galleggiava nel mattino
solenne e lenta
come una portaerei.
Sono desolata,
disse la donna a quelle vuote
grandezze trionfali,
come se sapesse di più,
molto di più.
Vi fremeva una storia che apparteneva a tutti,
rappresentata da questa donna
che per l’ultima volta ribadiva
sono desolata.

*

Il cappotto rosso

Tutto ciò accade su una nave.
Una pesante testa d’uomo
sulla spalla di una donna sconosciuta.
Un ragazzo che beve
appoggiato alla grondaia.
Discorsi sulla
sicurezza.
Un gancio che dondola qua è là.
Sette miseri fedeli
che cantano sottovento
con le camicie infilate dei pantaloni.
Giuramenti e promesse,
sotto la lamiera ricurva d’un divieto.
Una paura nuova.
Il tuo cappotto rosso proprio là
dove la mia vita
pareva bastare a se stessa.
Tutto accade su una nave.

*

A bordo di una nave in Normandia

Mi sono avvicinato alla misera ringhiera
presso la quale te ne stavi.
Entrambi abbiamo stretto tra le mani
il metallo della sbarra
come un dono freddo e sorprendente.

Sotto di noi dalla nave uscivano le macchine.
Lunghi autocarri
carichi fino in cima
di auto appena prodotte.
Senza fermarsi al porto procedevano
in direzione degli archi trionfali
di cavalcavia autostradali.

Sopra di noi il cielo serale precipitava in avaria.
Stavamo là
senza distogliere lo sguardo da quelle auto che portavano auto,
da quelle auto nuove, completamente nuove,
che immobili sfrecciavano lungo l’autostrada.

*

Al cesso

In fondo
oltre le vincite delle macchinette
sul pavimento scivoloso che portava al cesso
stavano accoccolati uno di fronte all’altra
e lo capivano:
non hanno potuto resistere
tutto deviava dalla via
gli ubriachi con mormorii di scusa
rasentavano la parete
la donna delle pulizie ormai stravaccata a casa
e tutti quelli davanti
tutti quelli là davanti sapendo
che quei due
non la contavano giusta
stavolta hanno preferito
non andare a pisciare

*

Luglio

Dopo una settimana di pioggia
il parco
reso insignificante dal vento
fuori da un auto nel parcheggio
una famiglia che mangia
siete morti intima un bambino
prendendo la mira con un giocattolo

*

Il luogo

Forse pioppi, o forse olmi. Sembra che il vento voglia fare una predica. Il tuo vestito con le barche si gonfia, so dove sta appeso di solito nel guardaroba. Il suo giallore, sbiadito nella nebbia sul ciglio della strada.

Torniamo alla macchina. Ci eravamo fermati per un motivo insignificante, ormai rimosso. Non lo ritroveremo più, questo luogo, e neppure quegli alberi oscillanti, forse olmi.

*

Derubata

Sei arrivata derubata.
Prima che risuoni l’attesa frase
Quegli stronzo mi hanno preso tutto
ho fatto in tempo a notare
che le tue spalle
non sono riuscite per nulla ad invecchiare
neppure con il mio impegno pluriennale.
Tuttora si sollevano
in una curva muta
senza un’altra missione
poiché nulla mai accompagna il miracolo.

*

Disperazione

A Kuks, di fronte all’ospizio originariamente destinato ai veterani delle guerre turche e ai sudditi ormai troppo vecchi, si erge (a esser più precisi, si contorce) una serie di statue femminili raffiguranti le allegorie delle virtù e dei vizi, scolpite da Matyas Bernard Braun. Una grande bellezza, ma inutile negarlo: nel complesso le statue dei vizi mi piacquero maggiormente, forse a causa di quell’espressività barocca che in quelle vive peccatrici ha potuto dispiegarsi in tutta la sua pienezza… lì, tra la Superbia, la Cupidigia e la Lussuria e le altre, si erge la statua di una donna nell’atto di trafiggersi il petto con un pugnale: si tratta dell’allegoria della Disperazione. La Disperazione come vizio! Mi resi conto che ciò che soltanto in età barocca veniva reputato un vizio al giorno d’oggi ben pochi lo percepirebbero come alcunché di immorale, una sorta di fallimento. La disperazione è semplicemente divenuta un comune e naturale atteggiamento nei confronti della vita, dotato di eguali diritti rispetto agli altri atteggiamenti, e di tanto in tanto (in particolare nella letteratura di bassa lega, nella poesia di bassa lega) addirittura una moda, una cosa degna persino di rispetto. Come se colui che non sia disperato nella misura dovuta fosse subito imputabile di ingenuità, di esistenza superficiale, di immaturità di pensiero. Come se il disperarsi implicasse il vedere, non la cecità.

*Petr Hruska, da VOLEVAMO SALVARCI (a cura di Elisa Bin, MIRAGGI Edizioni)