4 Poesie di Franco Fortini (da I DESTINI GENERALI)
PROLOGO AI VICINI
Che cosa importa se non mi vogliono bene
se vanno lontani da me.
L’amicizia è di un altro tempo.
Che cosa importa se anch’io non li amo
se non ho prodenza e pazienza.
Anche il tempo è di un altro tempo.
Ma dietro queste nuvole di nulla e neve salgono
tranquilli soli concordi cuori.
Che cosa importa se non li vedo ancora.
Da questo luogo io sorridendo resisto.
Dunque era vero che sarebbe stato
ogni cosa come previsto inflessibile
che invisibile agli occhi, inaccessibile al cuore
sarebbe stato il reale e il possibile
per per nuda fede avrei dovuto confessarlo.
Ergo qui sto e di qui amaramente parlo.
Che cosa importa se non mi vogliono bene.
Che cosa importa se anch’io non li amo.
Qualche rosa della mente osa e ride nella neve
(1955)
*
COMPLICITÀ
Per ognuno di noi che dimentica
c’è un operaio della Ruhr che cancella
lentamente se stesso e le cifre
che gli incisero sul braccio
i suoi signori e nostri.
Per ognuno di noi che rinuncia
un minatore delle Asturie dovrà credere
a una seta di viola e d’argento
e una donna d’Algeri sognerà
d’essere vile e felice.
Per ognuno di noi che acconsente
vive un ragazzo triste che ancora non sa
quanto odierà di esistere.
(1955)
*
A BORIS PASTERNAK
Il quadro di vetro, notte e sobborgo che entra
– mentre da un’ora d’Italia ti parlo –
dalla pupilla fin dentro
la tua paglia d’anni, sai sopportarlo
perché nessuno dei servi potenti
perché nessuno dei falsi felici
sa conoscerlo – solo sei, dormono spenti
o dispersi, gli amici –
e nessuno di chi non pronuncia
i nomi del vivere vero e del rischio
lo intorbida: ma un ragazzo che lancia
un sasso, un operaio col suo fischio,
la decauville, la lanterna sul ghiaccio
– lo stretto gennaio sopra la terra –
i rami che non parlano, il teso e dolce laccio
che qui ti tiene alla tua guerra.
Anche per gli occhi morti che hai visti vivi
hai detta la tua verità e ora osservi la notte.
Ma un giovane anche per te senza saperlo ora scrive;
e giovani altri lontani parlano di te. Di altre lotte.
Partono a quest’ora dalle fiamme degli aeroporti
i delegati del Soviet Supremo per Mosca.
Puoi dormire: lo scarto
del cane alla catena, il cigolio dell’esca
che ha messa al vento dell’orto per la faina
la tua moglie vecchia di palpebre rosse
e stride fino alla nera mattina
soli per te sono i segni del mondo, gli esseri
d’altra storia, che visitano il sonno.
Non quegli aerei in sibilo. Al disgelo
non ci sarai, questo è l’ultimo anno,
pensi, l’ultimo agro fiorire del melo.
Ma ogni stilla anche sopra la spina e l’arbusto
sarà d’acciaio al sole:
giusto è il tuo popolo grande, e ingiusto,
e parla anche, e non sa, con le tue rotte parole.
E in quelle un giorno, a chi ti leggerà,
rimorderà di rancore e d’amore.
Da questa veglia d’Italia chi ora ti pensa si sa
figlio anche del tuo cuore.
(1955)
*
I DESTINI GENERALI
È vero che sono stanco:
questo scendere scale e salire
deride, finché uccide, gli stanchi.
Avere negli occhi pomeriggi interi
soli agri, irrazionali realtà!
Se nemmeno l’augurio mi dà gioia
allora sparire diviene necessario.
Se la gioia non mi vince
rovinando sulle querce
lavando le scogliere
invadendo la fronte
il rancore dell’inganno
e danno e pianto divorato e spento
anche distrutte queste labbra
e sciolti in creta gli occhi tanto ansiosi
veleno saranno e vergogna
nelle vene degli altri
e mai lasceranno le menti!
Secolo di calce e fluoro, bava
di aniline e corpi come lava
di visceri: ecco i cordiali aperitivi
con gli assassini e la valutazione
obiettiva del niente… Se non trionfo
dureranno eterni
saranno in uno che è me stesso, me
sempre sopravvissuto.
Immortale io nei destini generali
che gli interessi infiniti misurano
del passato e dell’avvenire, pretendo
che il registro non si chiuda
che si cerchi ragione, che si vince
anche per me che ora voce mozza vo,
che volo via confuso
in un polverio già sparito
di guerre sovrapposte, di giornali,
baci, ira, strida…
(1955)