6 Poesie di MASSIMO GEZZI da SEMPRE MONDO

I giorni finisciono?

Stamattina eravamo sdraiati nel letto.
Le finestre proiettavano
muschi e foresta sulle nostre mura bianche.
Aveva mal di pancia, febbre, il raffreddore
la faceva respirare con la bocca
spalancata. Pioveva, e le foglie
slittavano le gocce sul davanzale della camera.
Le ho messo una mano sulla schiena
e il suo calore mi ha parlato di fango,
sassi ardenti, animali accucciati
o raggomitolati su se stessi.
L’eliambulanza era appena atterrata:
l’avevamo da poco sentita sfarfallare
con un corpo sfracellato, raccattato
da qualche parte. Io e lei
sopra un letto, in un silenzio
perfetto, fino a quando: Babbo,
mi ha chiesto, ma i giorni finisciono?
Nessuno può saperlo, le ho risposto
sorridendo. Alziamoci, allora.
Se oggi è proprio il giorno che finisce
prima dobbiamo fare tante cose,
tantissime.

*

Altre domande

“Siamo poveri”, mi chiede.
“No, non lo siamo”.
“Allora siamo ricchi”, ribatte.
“Nemmeno”, cerco di dirle senza sembrare
ridicolo a me stesso o a tutti quelli
che non mi ascoltano. “Ma perché
ci sono i poveri?” Brava, penso.
E adesso prova a dirle
qualcosa di sensato: sforzati, balbetta.
“Perché qualcuno vuole avere
più denaro di quanto gliene serva
per vivere, star bene”.
“Noi no, non è vero?” “Noi no”, la rassicuro.
Ma ho mentito, ho barato e forse un giorno
non mi perdonerà.

*

“Quando qualcuno
gli parlerà del girotondo,
i bambini chiederanno alla maestra
che cos’era. Come la stufa,
la carta da lettere, la sveglia,
l’iPod… le cose che un volta c’erano
e adesso non si sono più”.

*

Biglietto

Cara mamma, scusami di quanto
sto per fare o magari ho appena fatto.
Ti uccido perché ti amo, amo ciascuno
dei tuoi centouno anni che hai diviso
con me in questa dimora, in questa testa
ossessionata dal tuo amore e dalla tua
inestirpabile faccia che mi guarda,
anche quando non ci sei.
Ti uccido perché sto per morire
pure io e non riesco a perdonarmi
di abbandonarti adesso
che tu non ce la fai senza di me,
dopo quasi ottant’anni in cui io
senza di te non sono mai riuscito a stare.
Chiudo questa lettera poi mi sparo,
perché l’amore ha molte forme
e questa è quella che mi tocca.
Non mi vedrai sparire e agonizzare:
guardo al posto tuo prima di uccidermi
anch’io. Cara mamma, addio.

*

Il volo di una gazza

Distrattamente, mentre aprivi le tapparelle,
il volo di una gazza, laggiù in fondo.
Maestoso più del solito,
quasi al rallentatore, con le ali
bianche e nere spiegate e alla fine
rattrappite, all’approdo su quel ramo.
Nient’altro: ma qualcosa
che resiste, che si ostina
a tingere di peso e di colori
questo mondo, hai visto in quelle ali,
qualcosa che si oppone a chi dice
che in fondo non è nulla, non importa,
che tutto sarebbe uguale se quel volo
non fosse mai comparso o non potesse
riapparire mai più.

*

Sette anatroccoli persi

Li hai fatti fuoriuscire
da una scatola rosa,
sette anatroccoli raccolti
dall’altra parte della strada,
fa il ragazzo, proprio accanto al garage
del suo giardino. Così ha pensato bene
di portarli nel parco, in riva al lago,
per ridarli alla mamma.
Gli anatroccoli giravano le teste,
esterrefatti, prima di abbozzare
un giretto lì attorno.
E dopo, con lui che li guidava,
si sono avventurati sulla sponda,
dove forse la madre li avrebbe intercettati.
Starnazzando si stringevano assieme,
senza tentare il largo.
Poi dai rami più alti,
come un fulmine che scatta
preciso inesorabile,
sono piombati i corvi.