AFORISMI DI UN TERRORISTA – Emile Henry (Pensées) – Contesto storico di Claudio Scaia


Cosa vogliono gli anarchici? L’autonomia dell’individuo, lo sviluppo della sua libera iniziativa che, soli, potranno assi- curargli tutta la felicità possibile. Se l’anarchico ammette il comunismo come concezione sociale, è per semplice de- duzione, perché comprende che è solo attraverso la felicità di tutti, liberi e autonomi come lui, che troverà la propria.
Quando un uomo, nella società attuale, diventa un ribelle cosciente delle sue azioni – e tale era Ravachol – è perché ha fatto nel suo cervello un lavoro di analisi dolorosa le cui conclusioni sono imperative e non possono essere eluse che per codardia. Lui solo regge la bilancia, lui solo è giudi- ce della ragione o del torto di odiare e di essere selvaggio, «persino feroce».
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Ritengo che gli atti di brutale rivolta siano giusti, perché risvegliano la massa, la scuotono con un violento colpo di frusta e le mostrano il lato vulnerabile della Borghesia ancora tutta tremante nel momento in cui il Ribelle sale sulla forca.
Ciascuno di noi ha una fisionomia e delle attitudini speciali che lo differenziano dai suoi compagni di lotta. Così, non siamo stupiti di vedere i rivoluzionari così divisi riguardo alla direzione dei loro sforzi. Ci si domanda quale sia la tat- tica giusta; essa è ovunque proporzionale alla somma dell’energia che si apporta all’azione. Ma noi non ricono- sciamo a nessuno il diritto di dire: «Solo la nostra propa- ganda è quella giusta; fuori di essa non c’è salvezza». È un vecchio residuo di autoritarismo nato dalla ragione vera o falsa che i libertari non devono tollerare.
Fa ciò che credi sia meglio e fallo con amore.
A quelli che dicono: «L’odio non genera l’amore», rispondete che è l’amore, vivo, che spesso genera l’odio.
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L’odio che non si basa su una bassa invidia, ma su un sentimento generoso, è una passione sana e possentemente vitale.
Più amiamo il nostro sogno di libertà, di forza e di bellezza, più dobbiamo odiare ciò che si oppone al suo avvenire.
Non c’è stato che un partito nella storia del progresso umano, è il partito del movimento.
I socialisti non vogliono capire che la libertà dell’individuo è necessaria alla vera libertà del popolo.
Nella dedica del suo libro, Dall’altra sponda, Alexandre Herzen delinea un atteggiamento veramente rivoluzionario ed efficace quando dice: «Noi non costruiamo, noi demo- liamo; noi non annunciamo affatto nuove rivelazioni, noi sopprimiamo la vecchia menzogna».
Questo libro di Herzen è pieno di sprazzi e rivelazioni, ma non mancano nemmeno le osservazioni mordaci: è un buon libro per la prigione; e lontano dalla strada mi piace prenderlo come un’eco:
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«I Francesi non possono sbarazzarsi dell’idea dell’organizzazione monarchica; hanno la passione della polizia e dell’autorità; ogni Francese è nell’anima un commissario di polizia; ama l’allineamento e la disciplina, tutto ciò che è indipendente, individuale, lo irrita; comprende l’uguaglianza soltanto come livellamento e si sottomette volentieri all’arbitrio della polizia purché tutti vi si sottomettano. Mettete un grado sul cappello d’un Francese ed egli diven- ta un oppressore, comincia ad opprimere tutti quelli che non portano quel grado: egli esige il rispetto nei confronti dell’autorità».
C’è un diritto che prevale su tutti gli altri, è il diritto all’insurrezione.
L’uomo libero è colui agli occhi del quale i filosofi sono superstiziosi, e i rivoluzionari, conservatori.
I liberali sono in politica della stessa odiosa razza dei protestanti.
La società moderna è come una vecchia barca che soccomberà alla tempesta per non essersi voluta sbarazzare del suo carico ammassato durante il viaggio nel corso dei secoli; ci sono delle cose preziose, ma che pesano troppo.
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Tutti i partiti politici sono logori, ecco perché noi appariamo.
L’operaio che si ubriaca almeno una volta a settimana non fa cosa diversa da chi cerca illusioni. Se fossi un filosofo scriverei qualche pagina sulla necessità di ubriacarsi per addormentare la volontà che fa soffrire.
Quanti esseri hanno attraversato la vita senza mai svegliarsi! E quanti altri si sono accorti che stavano vivendo solo per il tic-tac monotono degli orologi!
Tra la beatitudine dell’incoscienza e l’infelicità di sapere, io ho scelto.
Finora i popoli hanno compreso la fratellanza come Caino e Abele. Che dire di quei rivoluzionari che non sono che vili ragiona- tori e che riflettono quando invece bisogna colpire? La sfera delle idee generali ha rimpiazzato in loro il mondo della contemplazione.
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C’è un’asserzione di Proudhon che, ai suoi tempi, è stata ritenuta criminale e che sarebbe oggi criminale. Ovvero che la Repubblica è fatta per gli uomini e non gli individui per la Repubblica.
L’uomo qualche volta ha bisogno di credere alla potenza della sua volontà; è allora che entra nella lotta.
Tra gli economi di se stessi e i prodighi di se stessi, credo che i prodighi siano i migliori calcolatori.
Più amiamo la libertà e l’uguaglianza, più dobbiamo odiare tutto ciò che si oppone a che gli uomini siano liberi e ugua- li. Così, senza perderci nel misticismo, poniamo il problema sul terreno della realtà, e diciamo:
È vero che gli uomini non sono che il prodotto delle Istituzioni; ma queste istituzioni sono cose astratte che esistono solo perché ci sono uomini in carne ed ossa per rappresentarle. C’è dunque un solo mezzo per raggiungere le Istituzioni. Colpire gli uomini.
Una volontà che si spinge fino al suicidio può generale una dedizione definitiva e senza speranza.
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Uno dei primi insegnamenti dell’anarchia è questo: «Sviluppa la tua vita in tutte le direzioni, opponi alla ricchezza fittizia dei capitalisti, la ricchezza reale degli individui possessori di intelligenza ed energia».
Amo tutti gli uomini nella loro umanità e per quello che potrebbero essere, ma li disprezzo per quello che sono.
D’altronde, ho certo il diritto di uscire dal teatro quando lo spettacolo mi diventa odioso e anche di sbattere la porta uscendo, a rischio di turbare la tranquillità di quelli che sono soddisfatti.

Questa è una storia di violenza, ma anche di rivolta e di libertà, che inizia in un piccolo paese nei dintorni di Barcellona il 26 settembre 1872, giorno di nascita di Émile Henry. La sua famiglia, di origine francese, si trova in Spagna per- ché il padre, Fortuné, ingegnere, giornalista e poeta libertario, è in fuga da una condanna a morte in contumacia inflittagli dal suo governo per aver partecipato alla Comune di Parigi nel 1871. Émile è un bambino fortunato, i geni- tori sono benestanti e possono garantire a lui e al fratello1, oltre al cibo e a un tetto sulla testa, anche un’adeguata i- struzione.
Nel frattempo l’Europa è in fermento, gli anarchici gridano vendetta per la violenta repressione della Comune di Parigi e nei congressi del 1876 a Berna e del 1881 a Londra Errico Malatesta dichiara dal palco “guerra aperta alle istituzioni” per colpire il potere al cuore, direttamente nei suoi rap- presentanti. Le parole non bastano più, ci vogliono i fatti, e proprio “propaganda col fatto” verrà chiamata la linea d’azione del movimento.
Nel 1882 il governo francese concede un’amnistia e gli Henry possono rientrare in patria, ma il 28 maggio dello stesso anno il padre muore sul lavoro per le conseguenze di un avvelenamento da vapori di mercurio. Émile, di carattere calmo e riflessivo, cresce e frequenta la scuola “Jean-Baptiste Say”, dove è ritenuto uno studente brillante.
Nel frattempo gli anarchici compiono attentati e omicidi in tutta Europa e le manifestazioni contro i governi si molti- plicano. Juan Oliva Moncasi uccide il re di Spagna Alfonso XII nel 1878 e il 13 marzo 1881 è Alessandro II zar di Russia a cadere per mano dell’anarchico Nikolaj Rysakov.
Tutti gli anni ’80 del XIX secolo sono costellati di attentati e il decennio successivo non è da meno.
Il 1 maggio 1891 la polizia spara su una folla di dimostranti a Fourmies uccidendo dieci persone e provocando manife- stazioni in tutta la Francia che culminano in violenti scontri con le forze dell’ordine. A Clichy alcuni attivisti vengono arrestati e condannati a pesanti pene carcerarie. Per rap- presaglia l’anarchico, e criminale comune, che si fa chiama- re Ravachol, autore di svariate rapine in tutta la Francia, mette una bomba in casa del giudice e una in quella del procuratore della città fallendo nello scopo in entrambi i casi.
Émile intanto si diploma ed è ammesso al colloquio per la prestigiosa “Ecòle Politechnique” di Parigi, ma davanti alla commissione dichiara di voler abbandonare gli studi per non dover finire a sparare sulla folla come a Fourmies. Tro- va lavoro a Venezia, dove risiede per un breve periodo, e alla fine del 1891 fa ritorno in Francia per unirsi al movimento anarchico, una scelta non priva di conseguenze. A causa delle sue idee rivoluzionarie infatti perde il lavoro e la polizia inizia a sorvegliarlo costantemente. Ravachol, la- titante, organizza un nuovo attentato in un commissariato di Parigi fallendo ancora. Tenta la fuga ma viene arrestato e condannato ai lavori forzati a vita. Per aver partecipato a una riunione per esprimergli solidarietà Émile è fermato dai gendarmi che lo rilasciano solo dopo aver perquisito la sua casa.
Nel frattempo Ravachol subisce un secondo processo nel quale è accusato di alcuni omicidi, compiuti nel 1891, dei quali si dichiara innocente. Viene condannato a morte e giustiziato pubblicamente l’11 luglio 1892.
Émile a questo punto vuole fare la sua parte e l’8 novem- bre 1892, come gesto di solidarietà verso i minatori in sciopero, piazza una bomba davanti alla sede della società delle miniere di Carmaux. Deve essere un atto dimostrati- vo, senza vittime, ma un poliziotto trova l’ordigno e decide, incautamente, di portarlo al commissariato di rue des Bons-Enfants dove esplode uccidendo sei persone. Émile si rifugia in Gran Bretagna dove rimane per oltre un anno col- laborando con diverse riviste libertarie.
Il 9 dicembre 1893 l’anarchico Auguste Vaillant piazza una bomba all’interno della Camera dei Deputati francese pro- vocando una ventina di feriti lievi. La bomba è costruita per non essere letale, vuole solo attirare l’attenzione sulla condizione degradante delle classi sociali più basse. Nonostante questo, arrestato e processato, viene condannato a morte. Il presidente Sadi Carnot gli nega la grazia e l’anarchico sale sul patibolo il 3 febbraio 1894. Per la prima volta dall’inizio del secolo un tribunale francese condanna a morte qualcuno non riconosciuto colpevole di omicidio. Émile sente di non poter stare a guardare di fronte a quest’ingiustizia, rientra clandestinamente a Parigi e si mette a fabbricare esplosivi. Il 12 febbraio 1894 lancia una bomba all’interno del Café Terminus di Gare St.Lazare, fre- quentato dalla ricca borghesia della città, causando un morto e venti feriti. Tenta una rocambolesca fuga, nella quale restano ferite quattro persone, ma alla fine la polizia lo cattura. Rinchiuso nella prigione Grande Roquette di Parigi scrive gli aforismi che leggerete qui. Il processo inizia il 27 aprile e si conclude con una condanna a morte tramite ghigliottina. La sentenza viene eseguita il 21 maggio 1894, quando Émile non ha ancora compiuto ventidue anni.
Per vendicare la sua morte l’anarchico italiano Sante Case- rio, il 24 giugno 1894, uccide il presidente francese Sadi Carnot e viene a sua volta arrestato, condannato a morte e giustiziato da Louis Antoine Stanislas Deibler, lo stesso boia che aveva giustiziato Ravachol, Vaillant e lo stesso Émile Henry.
Nei successivi vent’anni cadono per mano anarchica Cano- vas de Castillo, primo ministro spagnolo (1898), Elisabetta di Baviera, meglio nota come principessa Sissi2 (1898), Umberto I, re d’Italia (1900), William McKinley, presidente degli Stati Uniti d’America (1901), Carlo I, re di Spagna (1908) e Giorgio I re di Grecia (1913). Inoltre, negli stessi anni e nei successivi, numerosi attentati prendono di mira luoghi simbolo del potere borghese e ancor più numerosi sono quelli falliti, tra cui tre tentativi di assassinare Benito Mussolini.
Alla base del terrorismo anarchico c’è l’intenzione di colpire i rappresentanti dell’autorità, mai il popolo: sono attentati mirati, chirurgici, non colpiscono indiscriminatamente. Gli anarchici combattono valorosamente contro i Franchisti nella Guerra di Spagna e tra le fila dei partigiani durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel dopoguerra decidono, quantomeno ufficialmente, di abbandonare la violenza come forma di opposizione al potere ma questo non li sal- va dall’essere accusati di moltissimi attentati, anche quan- do l’evidenza dimostra la loro estraneità. Uno su tutti l’anarchico Giuseppe Pinelli, ingiustamente accusato della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 che muore precipitando “misteriosamente” dalla finestra della que- stura di Milano durante l’interrogatorio a cui lo sottopone il commissario Luigi Calabresi.
Il terrorismo è attuale oggi come ieri. Leggendo questi aforismi appare evidente che ciò che più di cent’anni fa spinse un ragazzo di vent’anni come Émile Henry a sacrificare la sua vita era il desiderio di libertà e uguaglianza, lo stesso comune a molti ragazzi rinchiusi nelle banlieue e nei ghetti di tutte le metropoli europee facili prede della folle propaganda religiosa degli estremisti islamici. Ma il sentimento anarchico, perché è soprattutto di questo che si tratta, è sempre teso a conquistare la libertà più totale e completa per l’individuo, chiunque egli sia, e non a costringerlo nei dettami e nei dogmi di una religione spesso interpretata solo in senso autoritario e indiscriminatamente violento.
Claudio Scaia