Dicono che i libri di Alice Munro siano di una bellezza disarmante.
Io ne ho trovati cinque in biblioteca, nella sezione narrativa americana, e mi è bastato leggerne due racconti per appassionarmi alla scrittura dell’autrice canadese. Alice Munro mette ordine nelle cose scritte e nelle cose della vita.
Credo sia per questo che l’hanno nominata Nobel 2013 per la Letteratura: per la limpidezza delle sue storie. Per l’assetto delle sue parole. Per la compostezza dei suoi pensieri. I suoi libri sono raccolte di racconti che vogliono farsi scoprire con semplicità, precipitando nella trasparenza delle relazioni umane che legano i personaggi.
Ex raccoglitrice di tabacco e impiegata di biblioteca, Alice conduce la sua vita a raccontare l’annodarsi del reale, mai abbandonando la sua forma d’espressione privilegiata: il racconto breve. Nata a Wingham il 10 Luglio 1931, vince il Nobel a ottantadue anni, proprio quando ha dichiarato di “non voler più scrivere”.
Tre volte vincitrice del riconoscimento canadese del Governor General’s Literary Award, il suo romanzo d’esordio è Dance of the Happy Shades del 1968, arrivato in Italia come La danza delle ombre felici e pubblicato dalle edizioni La tartaruga nel 1994 e da Einaudi oggi. Si tratta di quindici racconti che costituiscono la scommessa più importante per la Cechov canadese, come viene chiamata dalla critica, e che parlano di piccole cose, di avvenimenti quotidiani; sempre con la semplicità che ho ravvisato nei suoi scritti, quella che necessita di anni e anni di riscrittura per cadere limpida sulla pagina e che nasconde la complessità dell’essere umano. I dettagli di vita quotidiana si dipanano sulla materia del ricordo: “La memoria – scrive- è il modo in cui non cessiamo di raccontare a noi stessi la nostra storia e di raccontare agli altri versioni in certa misura diverse della nostra storia”.
Il percorso dell’amore è un libro pubblicato da Einaudi nel 2005, specchio del percorso della scrittura di Alice Munro, famosa per le improvvise svolte che riesce a impartire alle storie che racconta. Quella che nasce come una rievocazione di una tranquilla scena famigliare, prende poi la piega inaspettata del dramma o, addirittura, della tragedia. Sono le cose dentro le cose, quando nulla è semplice e l’unica salvezza è scrivere la vita. Guardare la realtà, senza chiudere gli occhi di fronte al ricordo vivido di un tentativo di suicidio della madre o alla scena confusa della donna che brucia un’ingente quantità di soldi nella stufa in cucina, sotto lo sguardo accondiscendente del padre.
Nel 2007 Einaudi pubblica in Italia la raccolta La vista da Castle Rock, forse la cosa più simile a un’autobiografia che all’autrice sia capitato di scrivere (insieme a Le lune di Giove), dove ricorda al lettore che “these are storie”, queste sono storie. Storie in cui ogni uomo riesce a ritrovarsi. Storie da leggere tutte d’un fiato. Il titolo del libro prende spunto dalla vista suggestiva dall’alto della roccia di un castello in Scozia da dove il protagonista del racconto crede di vedere l’America. Si ritrovano qui gli episodi più salienti della vita della scrittrice, dalle origini al presente, disegnati con queste parole, che entrano nei cuori.
«Ora tutti questi nomi che ho registrato si uniscono ai vivi nella mia mente, e alle cucine perdute, al lustro bordo di nichel delle vaste e maestose stufe nere, agli scolapiatti di legno fradicio che non asciugavano mai, alla luce gialla della lanterna a olio. Il bricco del latte in veranda, le mele in cantina, i tubi della stufa che uscivano dai buchi nel soffitto, la stalla intiepidita d’inverno dai corpi e dai fiati delle mucche. Il freddo salotto incerato dove si sistemava la bara quando moriva qualcuno. E in una di queste case – non ricordo di chi – un incantevole fermaporta, una grossa conchiglia di madreperla che riconoscevo come messaggera di luoghi vicini e lontani, perché potevo portarla all’orecchio, quando in giro non c’era nessuno a impedirmelo, e sentire il battito formidabile del mio stesso cuore, e del mare».
Il mondo di Alice Munro non sono solo i paesaggi del Canada. E’ tutto il mondo. Il mondo interiore. Fatto di momenti di crescita e di cambiamenti. Di svolte. Come per Valerie e le altre donne della raccolta Le lune di Giove, scritto nel ’77 ma pubblicato in Italia da Einaudi solo nel 2008, per le quali vale l’invito della scrittrice a non voltarsi mai indietro perché “quanto alla vita che è sepolta qui, meglio pensarci su due volte, prima di rimpiangerla”. Le donne della Munro sono contenitori di emozioni che sembrano schiacciate dentro vite apparentemente tranquille, ma che sono, in realtà, pronte a esplodere in azioni fatali.
Juliet è il personaggio indimenticabile di In Fuga, pubblicato nel 2004 in Italia da Einaudi, mentre la prima edizione in lingua inglese è stata pubblicata da McClelland and Stewart nel 2004. A lei sono dedicati tre racconti, come in un romanzo breve che segue le onde del destino di una donna che è sempre la stessa cambiando nelle circostanze della vita. La prima pubblicazione di questo libro è datata 1968 e nel corso degli anni ha ottenuto grandi riconoscimenti. Queste storie di donne ci conducono nel mondo intimo dei sogni, dei desideri, che sono i nostri sogni. I nostri desideri. Si, perché quando leggi la Munro leggi tutto ciò che senti. Senti la profondità dei suoi personaggi, delle loro anime. Nei suoi racconti l’orizzonte dei contenuti non è ristretto, corre piuttosto verso la prospettiva dell’esistenza nei suoi momenti più significativi e più ampi. Dove la scelta determina la svolta. Tutto è descritto dettagliatamente. Niente è tralasciato. E non hai neanche il tempo per respirare, tra una parola e l’altra, tanto ti avvolge il suo linguaggio.
Chi ti credi di Essere? è uscito in Canada nel ’78, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1995 e ora ritradotto da Susanna Bassi per Einaudi. In questo libro Alice Munro dedica a Rose, la protagonista, dieci racconti tra loro indipendenti eppure profondamente legati, che svelano risonanze sempre presenti nella solitudine di ogni scrittore.
Nemico, amico, amante (Einaudi, 2003) è una raccolta di nove racconti. Vi si legge la sensibilità femminile della narrazione. L’umanità. Bellissimo il primo racconto, che dà il titolo alla raccolta, in cui la cameriera Johanna è indotta a credere che Ken è innamorato di lei, attraverso uno scherzo crudele di corrispondenza falsa, macchinato da due ragazzine. Ella si lascia convincere, si illude, compra un vestito da sposa, imballa e spedisce i mobili di casa e parte… per raggiungere il suo futuro sposo. Il quale si trovava lontano, in uno sperduto paesino del Saskatchewan. Arrivata a destinazione, si sviluppa una storia che va immaginata cinematograficamente. Scena dopo scena, in un ritmo animato e pressante, molto divertente, vediamo come questa donna con risolutezza prende subito controllo dell’uomo, completamente. In questa storia emerge molto bene lo stile narrativo della scrittrice come cifra interiore per acchiappare le cose del mondo attraverso il realismo delle vicende umane.
Segreti svelati, pubblicato nel 2008 da Einaudi, parla di emozioni profonde, prima annidate nell’animo dei personaggi, che emergono come lampi e divengono, appunto, dei segreti svelati. Per i suoi intrecci complessi, i colori, i sapori, questo libro più degli altri assomiglia a un romanzo breve. Alice Munro sposta trame, costruisce proposizioni in uno stile tutto suo. Sa dove vuole arrivare. I suoi racconti non sono semplici. Assolutamente. Le atmosfere sono fitte. Incastrate. Il mistero è parte integrante della narrazione. Mai scontato.
Di Alice Munro, che oggi ha ottantadue anni, i capelli color dell’argento, ed è ancora bellissima, mi si sono attaccate addosso queste parole che mi uniscono a lei:
«Il racconto è una casa. Ci entri e ci rimani per un po’, andando avanti e indietro e sistemandoti dove ti pare, scoprendo i rapporti tra camere e corridoio, e come il mondo esterno viene alterato se lo si guarda da queste finestre…la casa delimita lo spazio e crea collegamenti tra uno spazio chiuso e l’altro e fa vedere in modo nuovo quello che c’è fuori. Questo è il modo meno approssimativo che possiedo per spiegare come funziona una storia per me, e come vorrei che le mie storie funzionassero per gli altri».
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*Alice L.