BELLEZZA – Thomas Mann (La Morte a Venezia)

Arrivo-a-Venezia

Lì sedeva lui, il maestro, l’artista che aveva raggiunto la dignità, l’autore del miserabile, lo stesso che in così esemplare purezza di forma aveva ripudiato lo spirito zingaresco e la tenebra degli abissi, che aveva rinnegato ogni simpatia per l’abiezione e vituperato il vituperevole ; lui che era asceso al sublime, che avendo soggiogato il proprio sapere, superato lo stadio dell’ironia, s’era abituato agli obblighi imposti dalla generale considerazione, l’uomo dalla fama ufficiale, dal nome nobilitato, il creatore di uno stile al quale i fanciulli erano chiamati a ispirarsi. Lì era seduto, con le palpebre chiuse ; solo a scatti le alzava per subito riabbassarle, lasciando guizzare di straforo un’occhiata sconcertata e beffarda ; e dalle labbra cascanti, lucide di belletto, uscivano smozzicati brandelli di un ragionamento che il suo cervello semiassopito andava intessendo come in sogno.
« Poiché la bellezza, o Fedro, bada a me, solo la bellezza è divina e insieme visibile, ed è perciò la via di quello che ai sensi pertiene : essa è, piccolo Fedro, la via che l’artista segue nel suo cammino allo spirito. Ma credi forse, o mio amato, che chi allo spirito s’avvia attraverso il dominio dei sensi, riuscirà mai a conquistar saggezza e autentica dignità d’uomo ? O credi piuttosto (lascio decidere a te) che questa via rischiosamente dolce sia in realtà la via dell’errore, del peccato, quella che di necessità induce in inganno ? Giacché, sappilo, noi poeti non possiamo percorrere la via della bellezza senza trovarvi Eros, che ben presto c’impone la sua guida ; e possiamo anche, a modo nostro, essere eroi e consumati guerrieri, ma in verità siamo come donne perché la passione è ciò che ci esalta, è all’amore che dobbiamo aspirare : tale è la nostra gioia e il nostro obbrobrio.
Or dunque, vedi che noi poeti non possiamo essere né saggi né dignitosi ?
Che fatalmente cadiamo nell’errore, fatalmente rimaniamo dissoluti venturieri del sentimento ? Menzogna, millanteria è la nostra padronanza dello stile, buffonaggine la nostra fama e gli onori di cui godiamo ; grottescamente ridicola la fiducia riposta in noi , temeraria e indifendibile impresa l’educazione del popolo e della gioventù per mezzo dell’arte.
Come potrebbe infatti fungere da educatore colui che irrimediabilmente e per sua propria natura è spinto verso l’abisso ?
Vorremmo sì distogliercene, vorremmo acquistare dignità ; ma ovunque dirigiamo i nostri passi, esso ci attira. Così avviene che rinneghiamo la forza dissolvitrice della conoscenza : poiché, mio Fedro, la conoscenza non possiede dignità né rigore ; è consapevole, comprensiva, clemente, priva di riserbo e di forma ; ha simpatia per l’abisso, è l’abisso medesimo.
Noi dunque la ripudiamo energicamente, e da questo momento ogni nostro studio avrà di mira la bellezza, ossia la semplicità, la grandezza e il nuovo rigore, la seconda spontaneità, la forma. Ma forma e spontaneità, mio Fedro, conducono al desiderio delirante, facilmente portano il nobile animo a orribili colpe sentimentali, che a lui stesso, nel suo armonioso rigore, appariranno infami ; portano, insomma, anch’esse all’abisso.
Vi portano, intendimi bene, noi poeti : perchè a noi non è dato elevarci, è dato soltanto imbestiarci. E ora, Fedro, io me ne andrò e tu rimarrai qui ; e aspetta di non vedermi più, per andartene. »

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*FOTO: tragenioefollia.com