Dio sta morendo anche nei suoi surrogati. WALTER SITI (da Resistere non serve a niente)

Dio sta morendo anche nei suoi surrogati.
WALTER SITI (da Resistere non serve a niente)

Essere al servizio degli dei significa comprendere che nessuna verità è definitiva, perché ciò che apparentemente è stato superato è li pronto a ritornare. Nel corso dei secoli le caste barbariche hanno di norma generato una nuova aristocrazia, tintinnante di monili vistosi; al tempo dell’high-frequency trade e della globalizzazione istantanea nessuna aristocrazia di sangue è più possibile, ma solo quella dell’acume e dell’audacia; la matematica abolisce la democrazia perché la democrazia è contro natura. La democrazia svilisce tutto perché appiattisce al livello della maggioranza; il tiranno si accontenta del corpo, la democrazia pretende anche l’anima; il tiranno ti opprime, la democrazia ti fa sentire sbagliato, traccia un cerchio invalicabile intorno al pensiero. A comandare è la piazza, a salsicciaio salsicciaio e mezzo. L’individuo non è più il soggetto qualificato di cui parlava l’empirismo inglese; proprio il delirio informativo (cui nessuno ha il coraggio di sottrarsi) rende chimerica per i privati qualunque decisione consapevole sul bene comune. Se finisce l’individuo moderno, nemmeno il suo corollario cioè la democrazia ha più senso – malgrado la si continui stancamente praticare durante le feste comandate, intorno al feticcio dell’urna elettorale. La democrazia è il dio morto della modernità che sopravvive come idolo di cartapesta; la balbuzie dei politologi tradisce l’imbarazzo per un rito funebre che non si può celebrare – per questo si aggrappano agli ultimi fuochi di democrazia insurrezionale, nelle zone del sottosviluppo o nel cuore delle nostre metropoli; ma la democrazia non può essere (non più) un poema di massa.
Le oligarchie implicite devono uscire allo scoperto, il processo economico non è obbligatoriamente legato all’uguaglianza dei diritti né la solidarietà presuppone l’assenza di sovrani. La disuguaglianza si sta riprendendo il proprio ruolo grazie alla tecnica che diffonde l’opportuno tasso di apatia; quello che importa orami non è l’uguaglianza ma la disponibilità dei beni possibili al proprio livello. Il consumismo diffuso a pioggia (con la connessa illusione ottica di omologazione delle classi sociali) è un velo pietoso che si sta squarciando; si riallarga la forbice naturale tra i detentori dell’oggetto-sapere e le genti meccaniche. La folla si accontenta dell’umiliazione periodica di qualche incauto e superbo provocatore. Dopo l’infatuazione della rivoluzione industriale, durata un paio di secoli, anche l’Occidente dovrà riassestarsi in caste relativamente stabili – il sogno di un governo popolare sfuma come una generosa illusione di irraggiungibile maturità; anzi come una digressione, un inciso.
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C’è chi teme che, come nel secolo breve, la recessione conduca alla violenza e alle guerre mondiali; ma al tempo delle rivoluzioni russa e fascista l’età media era la metà di oggi e il sangue ribolliva il doppio. Ormai le masse sono atomizzate e disperse, i ragazzi che saccheggiano i negozi rubano gli iPad e si contemplano compiaciuti in differita; gli striscioni nelle manifestazioni degli indignados dicono “dividiamo la grana”. Nessuno vuole davvero rinunciare al potere salvifico del consumo, le vittime sono invidiose dei carnefici ed è facile ingannarle con l’elemosina di un simulacro anche miserabile. Le vecchie oligarchie gettavano al popolo manciate di monete d’oro dalla carrozza, ora basta fargli sentire il rumore di un jingle accattivante o intravedere il fulgore di una farfallina tatuata – gettare monete è inutile, tutte le monete del mondo non rappresentano che il tre per cento del denaro globale. L’umanità non vuole accettare quel che lei stessa ha scoperto: che la vita non dipende dall’amore, che i sentimenti sono essudati della biologia, che l’individuo non è più laboratorio di nulla e che il mercato è in grado di fornire l’intero kit per un’individualità fai-da-te. I regolatori del nuovo equilibrio dovranno sapere che la virtualità è l’oppio dei popoli e la psicologia un placebo; che l’epopea del singolo è finita e d’ora in poi avranno a che fare con organismi collettivi, colonie tipo i coralli o le spugne, compattati dalla scienza come nell’alto medioevo il compattava la religione. Le invenzioni della finanza sono l’estremo titanico tentativo di rivolgersi verso l’alto( le obbligazioni a cent’anni con cui si crede di addomesticare il debito), alla scalata di n paradiso sia pure artificiale, prima della modestia concentrazionaria e obbligatoria. Dio sta morendo anche nei suoi surrogati.

——-> ALTRO DI : Walter Siti