E per l’ennesima volta, affrontiamo la minaccia dell’ennesima guerra.
E lo facciamo con le “armi” di sempre: la parola, i corpi di traverso, la ragione, persino la logica, se mai servisse ancora a qualcosa, in questo mondo in cui il profitto acceca quanto il più fanatico degli integralismi.
In questi anni abbiamo assistito allo scempio del linguaggio, hanno violentato il vocabolario, pur di camuffare la guerra sotto spregevoli manipolazioni: intervento umanitario, azione di polizia internazionale, e nei pochi casi in cui si nominava la parola abominevole, abbiamo sentito addirittura “guerra giusta”, che fa da contraltare alla “guerra santa”.
Che offesa, per i giusti e per i santi.
Oggi ci dicono che non sarà una guerra ma una “punizione”. Oh, certo, noi tutti vorremmo punizioni esemplari per i tiranni, ma solo le popolazioni che ne subiscono i soprusi possono punirli, mentre gli interventi a suon di missili e bombe li subiscono come sempre i civili, gli “innocenti” in nome dei quali si scatenano gli inferni delle
esplosioni, e per salvarli dall’ennesimo tiranno, li trasformiamo in cenere, con milioni di profughi a intasare i campi della disperazione.
“Punizione”, quando si usano missili e bombe, significa rappresaglia. E la rappresaglia ci ricorda quell’ “occhio per occhio, finché non saremo tutti ciechi”.
Ma come è possibile che due immani potenze economiche e politiche come Stati Uniti ed Europa non trovino i mezzi per ridurre le scelleratezze di un despota di un paese sul Mediterraneo ormai impoverito e desolato come la Siria odierna? A cosa è servito tanto presunto progresso, se chi gestisce il potere sul pianeta è solo capace di sostituire alla clava il missile?
Proprio in questi giorni, il poeta siriano Adonis ha scritto: “Chi conosce la storia sa che le più lunghe mediazioni sono più corte di qualsiasi guerra”.
Ma chi conosce la storia, specie quella recente, sa anche che la distruzione comporta la ricostruzione, cioè si bombarda per poi offrire lauti guadagni a un miserabile capitalismo da avvoltoi (con rispetto per i poveri avvoltoi, che non meritano di essere paragonati agli esseri disumani che saccheggiano l’umanità).
Sì, qualsiasi mediazione, per quanto ardua, ottiene migliori risultati e dura sempre meno di una guerra. Perché chi ha subito una guerra, sapeva soltanto la data del giorno in cui è iniziata, ma nessuno poteva sapere quando sarebbe finita. Di fatto, una guerra non finisce mai, è come la radioattività, avvelena il sangue per secoli e millenni. E pretende altro sangue. Il giorno in cui una parte si proclama vincitrice e gli sconfitti giacciono al suolo – perché già Platone disse: “Solo i morti hanno visto la fine della guerra” – rimarranno il rancore dei vinti, la voglia di vendetta, il dolore degli innocenti superstiti, le devastazioni con le conseguenti privazioni che generano odio, e altro odio, e ancora odio… È così: una guerra comincia ma non finisce mai.
Troppi esempi, e fin troppo facile elencarli, anche se sono davvero troppi: è finita la guerra in Iraq? È finita la guerra in Afghanistan? È finita la guerra in Libia?
È finita… è finita la ragione, che ogni guerra soffoca esaltando gli istinti dei trogloditi.
*Foto: Vi Esse