ERODIADE – Un monologo da Mallarmé di Patrizia Valduga (Poesia Erotica italiana)


Abolita, e con l’ala orrenda in pianto,
ombra abolita, simbolico incanto,
viene un’aurora a vane piume nere,
sul letto vuoto, sulle spente cere…
Nessun Mareggio! No! Triste maniero!…
Dentro le pieghe gialle del pensiero
trascinandosi ancora perdurata,
antocia voce mia stella incensata,
su un mucchio d’ostensori infrigiditi,
per buchi vecchi e pieghe irrigidite
trapunte al ritmo e alle pure trine del sudario che fa dal pizzo trine
salire il vecchio bagliore velato,
si leva: (oh! Che lontananza ha invocato!)
vecchio bagliore del vermiglio insolito,
di voce nulla che langue né ha accolti,
getterà oro in ultimi splendori,
antifona a versetti petitori,
in ora di agonia e lotte funebri!
Ma forza di silenzio e nere tenebre,
tutto ritorna in antico passato
fatidico, monotono, stremato,
come un’aurora si trascina in pianto!
Oh stella! Stella e carne qui soltanto!
Presto il rossore suo di sera tetra
viola del corpo la cerca che arretra!
No, non di sera, ma di rosso sorgere
di questo giorno estremo a tutto compiere,
rosso d’età profetica che plora…
La tua morte, profeta, dico allora.
Andavo, ombra sola e nuovo furore,
guardando in me precoce come terrore,
vittima andavo alla sua sorte offetta.
Per me, per me io fiorvio deserta!
Voi lo sapete, parchi sotterrati
senza fine negli abissi abbagliati,
ori ignoti dall’antico bagliore
nel sonno cupo di terra anteriore,
voi, gemme, che ai miei occhi, gioie pure,
date luce melodiosa, e voi pure
metalli che dalla chioma glaciale
fate il massiccio splendore fatale!
Un bacio poteva uccidermi… oh sorte!
Se la bellezza non fosse la morte…
Divoratore di locuste, tu…
Stella che muore, che non brilla più…
Stella in paura tu, riverberante
Erodiade che ha sguardo di diamante
e tiene chiuso in sé il mistero vano
del suo essere… Io muoio!… Io amo
l’orrore d’essere vergine, il tormento
quando nella carne inutile sento,
dai miei stessi capelli spaventata,
serrata nel letto, serpe inviolata,
il freddo scintillio dei tuoi chiarori,
tu che ardi di castità, tu che muori,
notte bianca di ghiacci! Notte mia
sola eterna sorella… mia agonia
sola… Non volgio più niente d’umano
né sarà detto che la morte invano…
Chiuso nel vecchio bagliore velato…
Su un piatto d’oro il suo capo mozzato?…
la testa, ho detto, portami la testa…
ho detto la tua morte… Odio la testa…
Oh disperatamente, trionfalmente,
di vita che si spegne risplendente,
su questa carne ancora sanguinante
per evocare l’ora folgorante
e la bellezza umana della vita,
quando si psegne l’ora inaudita…
Tutta la seduzione del disastro!
Dimmi, esitazione tra carne e astro,
se la bocca alla tua bocca allacciata
e l’aspra fame in deliquio mutata
dall’estremo alimento superiore
fino all’ultimo orizzonte in fulgore,
di che è un incendio quando il sangue cola!
Vano fantasma di me stessa, sola
e vecchia carne, col triviale sposo…
e il mio vano segreto tenebroso…
Destino sconosciuto… primo in me…
quella lingua indurita contro me…
Dileguati ossessione! No, non vuole
vedermi… Involati!… Arresto del sole…
Sole e carne… Bellezza della vita…
Sei tu crudele, che mi hai colpita…
Con la testa… nel pensare più alto…
urtando l’al di là in un soprassalto…
Testa indomata, ebbra di digiuno…
Un bacio nero, freddo… solo uno…
sulla bocca defunta… idea inaudita…
Per tutto l’intervallo della vita
è accaduto fra noi… era compiuto…
tu eri morto… quel taglio era compiuto
nell’ora eterna, dell’eterna via…
la voluttà fin dentro all’agonia!
Oh resto troppo inerte… morto… testa…
per un bacio… adorabile e funesta…
un bacio nero per chiuderti gli occhi…
E voi potete chiudervi begli occhi!
Il mio gelido cuore adesso sente
scindersi le sue gemme finalmente…
Finalmente mi levo nella morte,
sì, profeta, signore clandestino
che ti sei mescolato al mio destino…
Oscuro pretesto… Fredda d’orrore
in esilio nel cuore, e nel terrore,
la vita si chiude… il tuo sguardo muore
perché muoia la morte… sul mio cuore…
Chiuditi, sguardo, sopra la tua opera!

Maggio 1991


*Un monologo da Mallarmé di Patrizia Valduga
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