Il grande successo letterario di Mariusz Szczygieł si deve a questo libro-reportage scritto nel 2006 su una tematica che verrà sviluppata anche nelle opere successive: la cultura ceca.
L’autore non esita a definirsi da sempre innamorato della cultura ceca, definendola una cultura molto affascinante, ricca di contraddizioni interne che la rendono originale: scrivere dei cechi è un modo per approfondire la conoscenza di quello che è stato il secolo passato e come si è arrivati alla nostra contemporaneità, attraverso le vicende di personaggi di spicco di uno dei più piccoli stati d’Europa, ma che forse più di tutti ha vissuto sulla ‘propria pelle’ le contraddizioni e i fatti che hanno sconvolto l’Europa intera.
Un libro per questo imprenscindibile per chi voglia capire davvero qualcosa del popolo ceco; ma non solo per chi è innamorato di questo stupendo Paese che troppo poco, è un libro da leggere per tutti, specialmente per chi voglia ben capire gli eventi del secolo scorso al di là delle demagogie e dei rifacimenti storici che troppo spesso condizionano una reale conoscenza dei fatti.
Nei 17 reportage che compongono il libro, l’autore ritrae personalità ceche del XX secolo alle
quali è difficile attribuire un giudizio netto, che viene lasciato appositamente al lettore senza mai essere direttamente espresso dall’autore; attraverso questi personaggi si fanno emergere alcuni aspetti della cultura ceca e del suo popolo, ma sopratutto delle varie epoche che hanno caratterizzato l’intera Europa: la prima guerra mondiale e la seconda, il nazismo e il comunismo, per arrivare attraverso la democrazia al moderno capitalismo e consumismo. E proprio grazie all’esempio dei protagonisti del libro, è facile vedere come ogni epoca, che sembra al momento del suo inizio migliore di quella precedente, si riveli con il tempo uguale se non addirittura peggiore: così come il consumismo di oggi, ha caratteristiche comuni col comunismo di una volta, e il comunismo a sua volta si sia rivelato in fin dei conti, sopratutto in Cecoslovacchia, molto peggiore del nazismo.
Già il titolo è emblematico e rappresenta in piccolo ciò si ritrova in tutto il libro: l’assurdità e i paradossi della vita dei personaggi descritti nei reportage. Da un lato infatti il nome Gottland evoca un contesto religioso, (in tedesco Gott Land, “terra di Dio”), dall’altro riprende il nome del museo dedicato al cantante e attore Karel Gott, inaugurato nel 2006 nei dintorni di Praga. Attribuire la connotazione religiosa (peraltro con un nome tedesco) al paese più ateo d’Europa è di per sé molto problematico, a meno che non si ritenga di elevare Gott a un “sacrum in una realtà desacralizzata” , al ruolo di “mein Gott” con il quale si può per giunta entrare in contatto nel museo, il primo dedicato a un artista ceco ancora all’epoca vivente.
Le storie raccontate da Szczygieł sono commoventi e deprimenti allo stesso tempo, accomunate tutte dall’assurdità di un pur finito sistema autoritario oppressivo, con il quale ancora oggi i cechi fanno fatica a confrontarsi. Gottland può essere considerato un libro sulla storia ceca contemporanea, o meglio sull’interferenza della storia con la vita delle persone. La Storia è raccontata attraverso la vita di alcuni personaggi vittime dei suoi meccanismi, una prospettiva cronologica presentano i momenti salienti della storia della nazione ceca (e attraverso lei, dell’Europa intera): la conquista dell’indipendenza del 1918, l’occupazione nazista dal 1938 al 1945, la presa del potere comunista nel 1948 e il culto della Personalità degli anni ’50, la primavera di Praga del 1968, il crollo del comunismo, la Rivoluzione di Velluto, l’elezione di Havel fino ad arrivare alla situazione di democrazia attuale.
Nell’ambito della discussione sull‘identità ceca, i critici hanno messo positivamente in risalto la scelta dei personaggi descritti: si tratta di figure storiche importanti che non erano mai state poste al centro dell’attenzione come rappresentanti della natura dei cechi in determinate epoche storiche. Sono personaggi che in qualche modo racchiudono l’essenza stessa della cultura ceca, come una “riserva di dilemmi sociali e morali”. Vengono raccontate le storie di personalità ceche famose, ma non le figure simbolo della nazione come Masaryk o Havel, bensì personaggi iconici della cultura popolare: la nascita e l’ascesa dell’impero di Bata e delle sue calzature; la vita dell’attrice Lída Baarová sconvolta dall’amore per lei di Goebbels; la storia della statua di Lenin, eretta a Praga come la statua più grande del mondo del tiranno comunista, legata alla storia del suo ideatore e creatore, per poi sparire nel nulla entrambi, autore e statua, facendo una fine orribile; la triste storia della cantante Marta Kubišová; e ancora Zdenek Adamec, famoso per essersi dato fuoco nello stesso luogo di Jan Palach, seguendone l’esempio… attraverso le loro biografie Mariusz Szczygieł, in modo divertente amaro e commovente allo stesso tempo, ci mostra come quella che a volte sembra essere un’entità astratta, la Storia, non sia altro che lo sconvolgimento della vita delle persone che la vivono durante il suo svolgimento, e che di fronte a essa, poco importa che si sia un cittadino qualunque o una personalità di spicco della società: di fronte alla Storia siamo tutti, volenti o nolenti, impotenti.