GRUPPO 63

All’inizio degli anni ’60 nella letteratura italiana si andava consolidando sempre di più il bisogno di rompere completamente col passato. Da una parte sotto il punto di vista stilistico, con un netto rifiuto degli stilemi e delle forme tradizionali, dall’altra anche con una certa eversione di carattere più prettamente linguistica. Un atteggiamento quindi oltranzista verso tutto ciò che c’era prima, e in particolare verso tutto ciò che era considerato cultura borghese, in corrispondenza ad una base ideologica marxista radicale. Ecco, questi sono gli ingredienti che vanno a formare in quegli anni un gruppo di intellettuali neoavanguardisti chiamato Gruppo 63.

«”Gruppo 63″ è una sigla di comodo di cui spiegheremo un po’ più avanti l’origine. Di fatto dietro a questa sigla c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità […] Furono l’ultima fiammata del neorealismo in letteratura, fioca eco populista della grande stagione cinematografica dei Rossellini e dei De Sica.»
(Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani)

Il Gruppo 63, come si può intuire facilmente dal nome, è un gruppo di intellettuali formatosi nel 1963, nello specifico, nella città di Palermo.

Ciò che accomunava tutti questi intellettuali era la fede marxista, che veniva però in qualche modo reinterpretata alla luce dei vari campi di studio in voga all’epoca. Quindi troviamo la psicanalisi, l’antropologia, l’etnologia, riviste in chiave strutturalista, soprattutto partendo dalle proposte di rivisitazione di Claude Lévi-Strauss. Senza però dimenticare tutti gli studiosi strutturalisti come Jackobson ad esempio, che sulla scorta degli insegnamenti di Ferdinand de Saussure, padre della linguistica strutturalista, ponevano una strenua attenzione al senso del linguaggio.

Questa attenzione più che altro era incentrata sulle relazioni tra significato, significante e referente (o realtà extralinguistica). Cioè, detto in modo più semplice, la relazione tra una parola, il suo significato e ciò che gli corrisponde nella realtà. Quindi la relazione che intercorre, ad esempio, tra la parola ”tavolo”, il significato della parola e l’oggetto nella realtà al di fuori della lingua. Da questa serie di ragionamenti, in sintesi, arrivavano alla conclusione che il rapporto tra questi tre fattori è puramente arbitrario, quindi basato solo su convenzioni e non su un rapporto naturale, prendono forte vigore branche della linguistica come la semiotica. Ma si lascia alla vostra curiosità l’approfondimento di questi aspetti della linguistica del Novecento.

Ciò che si vuol sottolineare è che questa centralità della lingua, embricata sulle varie idiosincrasie della cultura dell’epoca, caratterizzerà indissolubilmente il movimento avanguardistico del Gruppo 63 nel secondo Novecento. Infatti la lingua, se liberata dalla cultura borghese e dalle sue pretese di razionalità, può diventare uno strumento sia per comprendere a fondo l’uomo, sia per liberarlo dall’alienazione capitalistica. Quindi di conseguenza divenire uno strumento volto anche alla rivoluzione.

Certo, vi era chi adottò delle posizioni più estremiste, come l’esponente maggiore di questo gruppo, Edoardo Sanguineti; e chi invece preferì in questo senso limitarsi ad una generica sperimentazione “culturologica”, come Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Renato Barilli. Ma entrambe le fazioni proposero in modi differenti una ricerca materialistica sulla letteratura, e in particolare sulla poesia e sui miti, proprio sulla scorta di quella liberazione del linguaggio di cui si parlava sopra.

La poesia fu uno degli elementi artistici centrali su cui agì la sperimentazione avanguardistica del Gruppo 63. La maggior parte dei poeti del gruppo era già parte dell’antologia dei Novissimi, pubblicata nel 1961, a cura del poeta Alfredo Giuliani, che fu in questo senso il punto di partenza per il Gruppo 63, che si sarebbe formato due anni dopo.

Di questa antologia i poeti più importanti, anche poi per gli sviluppi del gruppo, furono il milanese Nanni Balestrini, la cui poesia ha la particolarità di adottare una tecnica di montaggio-collage di citazioni non letterarie, derivate dalla quotidianità, come articoli di giornale e pubblicità; Antonio Porta che sviluppava tutti i temi del gruppo in una forte, a tratti violenta, chiave onirica, specialmente nella raccolta I rapporti, pubblicata nel 1966; poi lo stesso Alfredo Giuliani, i cui testi erano connotati da forti componenti surrealiste, che col tempo avrebbero lasciato spazio a forme più vicine al neocrepuscolarismo, come la raccolta Povera Juliet e altre poesie, pubblicata poi nel ’65. Tutti connotati in questo senso da una certa propensione alla rottura col passato letterario-poetico.

Infatti lo sperimentalismo qui è molto estremo, soprattutto per alcuni poeti, e in questo si allontana anche dal quel tentativo di neosperimentalismo poetico nato attorno alla rivista Officina sul finire degli anni ’50, che vedeva i suoi risultati migliori nei versi di Pier Paolo Pasolini. Infatti, comune a quest’altra forma di sperimentalismo è l’ideologia di fondo, quella marxista, anche se in questo caso certamente è un’ideologia influenzata più che altro dal marxismo di Gramsci, e che in un certo senso si connota per un carattere più populista, di visione mitica e mitizzata del popolo. In questo senso, il Gruppo 63 è più una neoavanguardia incentrata su un forte intellettualismo quasi elitario, quindi scevro quasi del tutto da forme di populismo.

Ma la differenza più interessante tra i due sperimentalismi si gioca sul piano stilistico-linguistico. Perché, mentre Pasolini conformava il marxismo ad una forma di plurilinguismo dai tratti dichiaratamente danteschi, riprendendo così la tradizione, e adottava qua e là, seppur vagamente, schemi metrico-stilistici richiamanti anch’essi la tradizione poetica italiana, i poeti del Gruppo 63 rifiutavano, come già accennato, ogni forma di tradizionalismo, bollandole come espressioni borghesi.

Ma soffermiamoci sull’esponente di spicco del gruppo, Edoardo Sanguineti.
Edoardo Sanguineti fu il maggiore teorico, esponente e poeta del Gruppo 63. La sua opera fu sempre molto provocatoria e dissacrante. In particolare è interessante ricordare le sue riletture in chiave originale e controcorrente di classici della letteratura italiana come Dante, nella raccolta Il chierico organico.

Ma l’opera forse più importante di tutta la sua produzione poetica è Laborintus, pubblicata nel 1956.

Il tema centrale qui è la storia di una depressione che viene declinata in una forma poetica fatta di lunghe lasse di versi informi, con la tecnica dell’assemblaggio, o “recitativo drammatico” di tipo atonale, per citare la definizione dell’autore. Quindi è una poesia che è priva di ritmicità, e inoltre viene invasa da un caos linguistico-letterario che vede l’utilizzo di lingue diverse e talvolta di citazioni e allusioni straniate di modelli tradizionali, con fine evidentemente dissacratorio.

Tutto questo composto e miscuglio poetico in qualche modo dovrebbe riportare ad una sorta di condizione primordiale dell’uomo (e qui si vede la tematica antropologica di cui si trattava sopra), nella sua parte più profonda del cosiddetto “scavo psicanalitico” junghiano.

In questo modo si ritorna ad una condizione di kaos, che confligge con ciò che è il kosmos contemporaneo, dove il linguaggio del capitalismo ha zittito ogni altra forma di espressione, rivelando però una profonda vacuità, e un profondo vuoto. E allora è proprio in questo caotico stravolgimento della lingua che l’uomo può in qualche modo tornare ad una realtà autentica, andando oltre a quell’io capitalistico che si arroga il diritto di essere il soggetto della vita della collettività e del singolo.

Ecco che tutti i temi di cui si parlava nella premessa trovano un loro punto di incontro nella poesia di Sanguineti. Le raccolte successive saranno un po’ tutte sulla scia degli ideali dell’avanguardia, da cui l’autore non si staccherà mai.

In ultima analisi è giusto fare menzione anche di quegli autori molto importanti per la poesia del secondo ‘900 italiano, che seppure in modo relativo, furono influenzati o si avvicinarono per brevi periodi al Gruppo 63.

Tra questi spicca Elio Pagliarani, autore presente nell’antologia dei Novissimi del ’61, che come si è detto sopra fu la base per la nascita del gruppo, e che condivise con la neoavanguardia soprattutto il fattore ideologico.

La sua opera più famosa è il poema narrativo La ragazza Carla, che mette in versi la storia di una giovane impiegata milanese che vive nel mondo capitalistico della Milano dell’epoca del boom. Forte è il tema ideologico, comune alla neoavanguardia, e interessante è l’utilizzo di inserzioni di brani tratti da manuali tecnici, quasi a voler imitare la tecnica del collage. Ciò che però allontanò Pagliarani dal Gruppo 63 fu la mancata riduzione della sua opera agli ideali specifici dell’avanguardia e il disinteresse verso una totale dissoluzione linguistica, poiché l’idea di comunicabilità rimane un punto fermo della sua poesia.

Poi vi è il milanese Emilio Villa, un poeta eclettico, oltre che traduttore e biblista, che rimase sempre molto ai margini del gruppo, arrivando anche a criticarlo talvolta. Infatti il suo stile ha sempre teso molto più alla pop art, anziché all’avanguardia.

Infine vi è Amelia Rosselli (figlia dell’antifascista Carlo) che, anch’essa ai margini del Gruppo 63, ne prese l’idea di una lingua poetica quasi materna, prerazionale, volta in qualche modo a spiegare la parte inconscia e più vera dell’uomo. Così, con questo stravolgimento della lingua, che trova un suo stile oscuro ma non completamente surrealista, si va a creare uno stile poetico accomunabile quasi alla disgregazione di un quadro cubista.

Ciò che la differenzia dalla neoavanguardia, come è forse intuibile, è il mancato piegamento di questo stile dissoluto verso l’ideologia marxista, che non è mai presente nell’opera della Rosselli.

In conclusione

Molte delle opere poetiche del Gruppo 63 non ebbero grande fortuna, poiché il carattere così oscuro ed eversivo ne limitò sempre la comprensione al grande pubblico. Eppure, in quella loro voglia di rottura, in quel loro profondo moto di ribellione, si insinua un’epoca di proteste e di lotte ideologiche, che avrebbe, nel bene o nel male, caratterizzato tutte le epoche successive fino a quella corrente.

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*FONTE: https://www.frammentirivista.it/gruppo-63-letteratura-italiana/