Diceva Vincenzo Errante ieri nella sua conferenza su “La personalità di Goethe”, che i poeti si potrebbero dividere in due categorie: i poeti martiri, e i poeti eroi. Poneva fra gli uni: Holderlin, Foscolo, Byron, de Nerval, Baudelaire, fra gli altri Manzoni e Goethe. Lasciamo stare Manzoni, che d’eroico non credo abbia avuto gran che. Ma Goethe è stato, sì, un eroe per la sua volontà pertinace di essere, anzi, di divenire, per il suo diuturno attivismo, dai venti agli ottanta e più anni, come poeta, come studioso, come uomo, per la sua vittoria contro le avversità esteriori e interiori, senza mai tregua. Ascoltando Errante nella sua calda e bella orazione, e dolendomi che Franco non poetesse essermi vicino e così sentirsi confortato da quella celebrazione d’una grandissima vita, pensavo tuttavia alla differenza per cui il mio destino di donna m’ha negato di compiere un’opera immortale, pur richiedendomi un esercizio di forza e volontà certo non inferiore a quello adoperato da Goethe, e altrettanto eroico, poiché non m’ha spezzata ancora. Anch’io ho voluto costantemente divenire, e mai sono stata inerte, ma (qui sta la differenza fatale) ho appuntato la mia energia – enorme – più verso l’estrinsecazione amorosa che non quella artistica. Ho fatto della mia vita, come amante indomita, il capolavoro che non ho avuto così modo di creare in poesia. Se ci fosse un Iddio onnisapiente, potrebbe attestare che non fu, la mia, sete sensuale, non fu passione bassa che avrei dovuto soffocare, ma continuo anelito a una sempre fuggente forma d’accordo fra me e l’uomo, a una mai realizzata armonia, per la quale tutto sempre ho dato, sangue e ingegno e sentimento, fino a rimanere estenuata come sono ora, balbettante quasi, forse morente, e pur senza rimpianto, essendo stata fedele alla mia intima legge…
Mai realizzata ho detto? O con Franco veramente invece ho creato qualcosa di valido e non perituro, qualcosa di equivalente a un poema perfetto? Non posso saperlo, come non sa l’artista la vitalità di ciò che ha compiuto…