I DISPIACERI DEL VERO POLIZIOTTO di Roberto Bolaño

I DISPIACERI DEL VERO POLIZIOTTO di Roberto Bolaño

Dal libro…

…Alla radice di tutti i miei mali, pensava a volte Amalfitano, si trova la mia ammirazione per gli ebrei, gli omosessuali e i rivoluzionari ( irivoluzionari veri, i romantici e i pazzi pericolosi, non gli apparatcik del Partito Comunista Cileno né i suoi deprecabili gorilla, ah, questi esseri grigi e spaventosi).

Alla radice di tutti i miei mali, pensava, si trova la mia ammirazione per certi drogati ( non poeti drogati, né artisti drogati, ma drogati e basta, tipi rari da trovare, tipi che si nutrivano di se stessi quasi alla lettera, tipi che erano come un buco nero o come un occhio nero, senza mani né gambe, un occhio nero che non si apriva né si chiudeva mai, la testimonianza perduta della Tribù, tipi che sembravano schiavi della droga nella stessa misura in cui la droga sembrava la loro schiava).

Alla radice di tutti i miei mali si trova la mia ammirazione per i delinquenti, le puttane, gli squilibrati, si diceva Amalfitano con amarezza. Nell’adolescenza avrei voluto essere ebreo, bolscevico, negro, omosessuale, drogato o mezzo matto, e come se non bastasse monco, ma sono diventato solo un professore di letteratura. Meno male, pensava Amalfitano, che ho potuto leggere migliaia di libri. Meno male che ho conosciuto i Poeti e che ho letto i Romanzi…

…Quando Padilla aveva cinque anni sua madre morì, quando ne aveva dodici morì suo fratello maggiore. A tredici anni decise di darsi all’arte. Prima pensò che il suo campo fossero il teatro e il cinema. Poi lesse Rimbaud e Leopoldo Maria Panero e volle diventare poeta, oltre che attore. A sedici anni aveva letteralmente divorato tutti i versi che gli erano capitati fra le mani e aveva avuto due esperienze nel teatro amatoriale del quartiere, ma non era bastato. Imparò l’inglese e il francese, andò a San Sebastian, all’ospedale psichiatrico di Mondragon, e cerco di far visita a Leopoldo Maria Panero, ma i medici, dopo che l’ebbero visto e ascoltato per 5 minuti, non glielo permisero.

A diciassette anni era un ragazzo robusto, colto, ironico, con eccessi di malumore che potevano trasformarsi in esplosioni di violenza…

…i messaggi, scontrosi ed enigmatici, che si lanciavano anche senza volere venivano di solito fraintesi da entrambe le parti. Il padre pensava che il figlio fosse molto intelligente, di un’intelligenza superiore alla media, ma al tempo stesso profondamente disgraziato. E dava la colpa a se stesso e al suo destino. Il figlio pensava che il padre in un epoca lontana, chissà, fosse stato o sarebbe potuto diventare una persona interessante, ma che alla fine i lutti di famiglia lo avessero reso un uomo spento, rassegnato, a volte misteriosamente felice ( quando davano una partita di calcio alla televisione ), di norma un gran lavoratore e un tipo di poche pretese che non gli aveva mai chiesto nulla, o forse sì, qualche conversazione rilassata e insignificante di tanto in tanto. E nient’altro…

…I russi, allora, gli aprirono i denti e con delle tenaglie che le SS destinavano ad altri scopi cominciarono a stringerli e a tirargli la lingua. Il dolore che sentì lo face lacrimare e disse, o meglio gridò, cazzo. Con le tenaglie dentro la bocca la volgarità si storpiò e venne fuori nell’aria trasformata nella parola Kunst. Il russo che parlava tedesco lo guardò stupito. Il Sivigliano gridava Kunst, Kunst e gridava di dolore. Kunst in tedesco vuol dire arte e il soldato bilingue disse che quel figlio di puttana era un artista o qualcosa del genere. Quelli che torturavano il sivigliano gli tolsero le tenaglie di bocca con un pezzettino di lingua attaccato e aspettarono, momentaneamente ipnotizzati dalla scoperta.

L’arte. Ciò che ammansisce le fiere…

…Contro ogni indicazione e cautela di genere gastrointestinale si fermò da un venditore ambulante, all’angolo fra avenida Guerrero e General Mina, e comprò un panino al prosciutto e del tè al ibiscoche, nella sua fervida immaginazione, era simile al nettare di gelsomino o al succo di fiori di pesco cinesi della sua infanzia. Com’erano saggi, accidenti, come erano delicati questi messicani, pensò mentre assoporava uno dei migliori panini della sua vita: fra il pane e il pane, panna acida, salsa di fagioli neri, avocado, lattuga, pomodoro o jitomate, tre o quattro pezzetti di un peperoncino chipotle e una sottile fetta di prosciutto, l’elemento che dava nome al panino e al tempo stesso il meno importante. Come una lezione di filosofia. Filosofia cinese, è chiaro! Pensò…

…Impararono a recitare a voce alta. Mandarono a memoria le due o tre poesie che più amavano per ricordarle e recitarle nei momenti opportuni: funerali, nozze, solitudini. Capirono che un libro era un labirinto e un deserto. Che la cosa più importante del mondo era leggere e viaggiare, forse la stessa cosa, senza fermarsi mai. Che una volta letti gli scrittori uscivano dall’anima delle pietre, che era dove vivevano da morti, e si stabilivano nell’anima dei lettori come in una prigione morbida, ma che poi questa prigione si allargava o scoppiava. Che ogni sistema di scrittura è un tradimento. Che la vera poesia vive tra l’abisso e la sventura e che vicino a casa sua passa la strada maestra dei gesti gratuiti, dell’eleganza degli occhi e della sorte di Marcabruno. Che il principale insegnamento della letteratura era il coraggio, un coraggio strano, come un pozzo di pietra in mezzo a un paesaggio lacustre, un coraggio simile a un vortice e a uno specchio. Che leggere non era più comodo che scrivere. Che leggendo si imparava a dubitare e a ricordare.

Che la memoria era l’amore…

…Abituata alle strade di Barcellona, eterogenee, perfettamente delimitate o nel caso del centro storico perfettamente decorate, strade di una civiltà, cioè strade reali, quelle di Santa Teresa le parvero, al contrario, strade neonate, con una logica e un estetica segrete, strade con i capelli sciolti dove lei poteva camminare e sentirsi viva e sentire che camminava e che era una e non parte di

…Intorno a me si muovevano solo i vestiti, non le persone in carne ed ossa. Era tutto chiaro. Il pomeriggio non aveva più segreti! Ma al tempo stesso tutto era fuori posto. Vedevo gonne, pantaloni, scarpe, calze bianche e nere, calzini, fazzoletti, giacche, cravatte, tutto quello che puoi trovare in un negozio di vestiti, vedevo cappelli di paglia e cappelli alla Texana, berretti da baseball e nastri per capelli, e tutti i vestiti scorrevano sul marciapiede, scorrevano nella galleria, assolutamente estranei alla realtà dei passanti, come s trovassero repellente la carne che coprivano. Gente felice, avrei dovuto pensare. Avrei dovuto invidiarli. Desiderare di essere loro. Gente con soldi nelle tasche oppure no, ma che correvano allegri al cinema o nei negozi di dischi o da qualche parte, gente che andava a mangiare o a bere una birra o che tornava a casa dopo una passeggiata. Ma quello che pensai io fu: quanti vestiti. Quanti vestiti puliti e nuovi e inutili

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