I DUE ZAFFIRI – Un Racconto di Elsa Morante


La signora si fermò davanti alla vetrina del suo gioielliere come sull’entrata di un giardino. Su ghiaie corrusche si spiegavano ruote occhiute di pavoni; e nel mezzo della flora arabescata, fra i ben composti trionfi di frutti sfaccettati e rotondi, stavano simili a due fontane due zaffiri chiusi in cerchi di platino. ‘apparizione di questi orecchini svegliò nella gola di lei quel tremolo che precede il canto pieno e il volo. Ansiosa ella spiccò il volo, ed entrò.
Dentro quella bottega, tutti amavano la signora; la festeggiavano, la coccolavano, vagheggiando sempre nuovi addobbi e ghirlande per la sua bellezza. Quest’acconciatura di perle sembra nata apposta per voi, signora, sospirava la commessa. E il commesso: quand’è arrivata la minuscola ‘Chimera d’oro’, può testimoniarlo il cavaliere se tutti non abbiamo gridato che bisognava subito appuntarla sull’abito nero della signora.
Ma la signora accennò col dito ai due zaffiri della vetrina. Rimirandoli adesso, vicini e già suoi, ascoltò distratta il gioielliere che diceva una cifra e per un momento fu esitante fra il sì e il no; ma subito si scosse la testa dicendo: Perché no? E comperò gli zaffiri. I quali, chiusi dentro la sua borsetta, facevano andare la signora più leggera ed estatica, quasi fossero ali.
Dopo una spesa simile, ella mormorò a se stessa, voglio fare economia. E a tale scopo, invece di chiamare un’automobile pubblica, prese il tramvai. Davanti a lei sedettero due popolane di cui l’una, bellissima, teneva sulle ginocchia un bambino di forse due anni. Questo putto aveva la stessa bellezza della madre, mansueta, pallida e regale; senonché, mentre gli occhi della madre erano neri, quelli del figlio erano celesti; e il loro colore gentile ed acquatico appariva stranamente intorbidato.
Appunto, la madre spiegava all’altra donna di essere stata dal dottore per via di quegli occhietti; e il dottore in coscienza l’aveva avvertita che il putto adagio adagio diventava cieco. So poteva tentare un’operazione, è vero; ma costava mille lire, e dove trovare una somma simile? Rassegnate, le due popolane scossero la testa. La madre, pur sorreggendo il figlio in atteggiamento di grazia e d’indicibile maestà, torse la vista da lui verso la strada; mentre l’altra pietosamente gli accarezzava la fronte.
Le pupille semispente del bambino si erano fermate sulla signora; e questa, in un terribile batticuore, infiammato il viso, incominciò a pensare: Nella mia borsetta ci sono ancora, per l’appunto, mille lire. Non ho che da prenderle e darle a questa povera donna. L’operazione riuscirà e quegli occhi si schiariranno come i miei due zaffiri se qualcuno li avesse appannati col fiato. Niente di più semplice. Ora lo dico e lo faccio. Ma proprio mentre così pensava e, quasi quasi, già muoveva le labbra per dire: Sentite, mia cara giovane…, con una scossa la signora udì il fattorino del tranvai gridare: Piazza Rossini! Piazza Rossini! Era appunto in questa piazza che la signora abitava; in fretta, stringendo la borsetta chiusa, ella scese dal tranvai, che sferragliando se ne andò, e presto fu scomparso.
Nella sua camera, la signora poté rimirare a suo agio i due zaffiri. Simili a due iridi puerili, le loro luci brillavano senza velo e caste. Con civetteria, dinanzi allo specchio, la signora confrontò via via gli zaffiri col pallore della sua fronte, col roseo delle guance, con la sua tenera mano. Ma d’un tratto le parve che passasse nell’aria un sottile e tremulo pianto, e rabbrividì.

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