IL DIAMANTE DI VILLASOLA – Un Racconto breve di UNAMUNO


Il maestro di Villasola era intelligente, e, come pochi, entusiasta della sua professione; così che non appena intravide in quel suo scolaro un talento compatto e chiaro, provò lo stesso piacere che prova un gioielliere al quale capiti tra mano ancora greggio un bel diamante.
Questo sì, che era un esemplare adatto pei suoi assaggi e per mettere a giusta prova la sua finezza! Un bel porcellino d’India per esperienze pedagogiche! Una eccellente materia pedagogizzabile sulla quale tentare nuovi metodi in anima vili! Perché la profonda convinzione del maestro di Villasola – anche se egli non giungeva direttamente a formularla – era che i ragazzi sono dei mezzi per fare della Pedagogia, come per fare della patologia sono mezzi gli infermi, i malati.
La scienza per la scienza – questa era la sua preferita definizione: e la tacita, la sottoformula, quest’altra: La scienza per il mio piacere e per la mia gloria.
Si buttò sul ragazzo prodigioso per dirozzarlo.
Che differenza da anima ad anima, si diceva.
Tutte sono carbone spirituale, ma qui c’è, tra tanto oscuro carbone ordinario, un’anima cristallizzata in diamante!
E il maestro dette inizio alla sua fatica. Già immaginava la bella forma poliedrica, le multiple facce, gli assi. Che riflessi offrirebbe al mondo e come si ammirerebbe in esso la perizia del gioielliere che lo aveva saputo tagliare!
Lasciò fare al ragazzo, pur serbando la intima qualità, la durezza diamantina. Ma quando, scoprendo a poco a poco il suo fuoco interno, questi si accorse degli opachi carboni in mezzo ai quali viveva, si prestò anche più volentieri alla manipolazione del bravo gioielliere.
Che sfaccettature! Che acqua! Che scintillii! Quante cose sapeva e come tutte ben raggruppate, coordinate, in ordine poliedrico! Era la meraviglia del paese. Il giorno poi in cui parlò al Circolo, la meraviglia di Villasola giunse alle stelle! Come allacciava i suoi pensieri e li incastonava preciso, a filo, ordinatamente!
Ora presentava una faccia del poliedro, ora un’altra, abbagliando con mille colori cangianti e con iridescenze multiple secondo si rifletteva nella sua mente in una maniera o in un’altra la luce incolore e diffusa della scienza.
Che oratore! Che testa! Là dentro tuto, pensieri e idee, erano orditi e sistemati a dovere. Primo, secondo, terzo; A e B maiuscole a e b minuscole: ogni cosa in relazione con l’altra, ma con chiavi diverse, con chiavi e controchiavi, come in un meraviglioso quadro sinottico.
Giunse il giorno in cui questo portento, questo miracolo di Villasola si lanciò verso la capitale in cerca di spazio, di gloria. Un gran corteo di gente lo accompagnò alla stazione, ed il paese lo seguì con tutto il suo cuore, sebbene egli, da parte sua, a tutto pensasse meno che a portarsi il paese nel suo. Le madri lo indicavano ai propri figli come modello, desiderandolo inoltre come sposo per le loro figliole; sospiravano queste per lui, mentre gli invidiosi, manco a dirlo, crepavano di bile. Ma il più orgoglioso di tuti era il maestro di Villasola, il gioielliere di quella meraviglia che andava a portare il suo alto valore in borsa, cercando se gli fosse possibile d’incastonarsi in una gioia, in un gioiello sociale, e diventare così un valore in uso, un valore commerciabile. Egli già aspirava a solitario. Cadde sul palcoscenico del mondo, nella grande arena della vita, tra i sassi arrotati e la polvere di tanti altri diamanti già frantumati. Meravigliò quanti gli si avvicinarono; ma, feriti dalle sue reste e dai suoi aculei, dovettero lasciarlo. Lo fecero passare da salotto a salotto, facendolo girare in tutti i modi perché si ammirassero tutti i suoi riflessi; ma nessuno lo voleva se non per montarlo in un anello; ed egli invece ambiava di essere libero, non incastonato.
Frattanto la corrente lo andava sospingendo in mezzo all’arena, là dove cera anche quella certa polvere di diamanti frantumati.
Domandò, meglio che pretenderla, una giovane ricca che gli servisse da castone; ma fece fiasco. Quella notte il poverino mordette il cuscino, sentendosi solo soletto, nient’altro che una povera pietra grezza, dura e fredda. Gli si veniva intanto guastando quella poderosa intelligenza sinottica, gli si velava ed intorbidiva la mente, mentre le reste e gli aculei gli si piegavano. Ormai non rifletteva che una luce volgare. S’accorse allora, in questo momento, degli umili carboni verso i quali aveva disdegnato di sporgersi: i quali davanti alla congiura della solidarietà che come corrente elettrica li rincorreva ed allacciava, davano luce propria, essi, pur oscuri carboni, mentre lui, ahi, lui ch’era un diafano diamante dava appena un mero, vago scintillio… I poveretti si consumavano nella fatica, davano alla luce della loro carne e del loro sangue, con dolore, era certo, ma anche con amore, uniti come erano da quella corrente che è la comunione fraterna degli umani sforzi. Ed egli, solo, solitario, duro, perduto! Che avesse le acque… a che, a che serviva?
Servirebbe per tagliare i cristalli, ché la qualità sua precipua, essenziale, la durezza, quella gli era restata.
Bisogna udirlo ora alle tavole dei caffè il diamante di Villasola: allorché, bevuti alquanti bicchierini di cognac, cade sopra una qualsivoglia riputazione fatta, sopra un sentimento consacrato, sopra qualche cristallo in una parola, e lo taglia e lo incide stridendo… Che eloquenza aspra, secca, dura, stridente! Come li lascia smerigliati quei cristalli! Questo è il momento in cui lo si conosce. Egli è che, sciupato per il continuo fregamento con l’arena del letto del fiume del mondo, rovinante le sue facce simmetriche al contatto continuo con la polvere di diamanti frantumati, egli oggi rivela la sua durissima essenza di carbone cristallizzato.
Quando il maestro di Villasola seppe un giorno quale mai fine avesse fatto il suo diamante, si fece questa ardua domanda: La Pedagogia è una scienza pura o è, invece, suscettibile di applicazione?
Ma quel che non ha capito il gioielliere di Villarosa, è questo: che è assai più facile ottener luce dal calore potenziale immagazzinato nei neri carboni, anzi che strappare del calore vivo, del calore veramente vivificatore dalla luce meramente riflessa e di seconda mano del diamante.

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