Grande nella vita che conduceva
grande nei sogni che accarezzava
non meno grande nella morte
tragica ed assurda.
“Il grande Gatsby” è una storia dolce-amara di un eroe “Romantico” nell’America dei ruggenti anni ’20.
Da “Il grande Gatsby” di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1925, è stato tratto un film di grande successo con Robert Redford e un altro appena uscito nelle sale cinematografiche con Leonardo Di Caprio.
Il libro nelle prime 80 pagine accenna a Gatsby come ad un personaggio quasi fantomatico, ammantato di un passato leggendario e misterioso che al pari di un anfitrione megalomane dà sfarzose feste nella sua villa di Long Island. L’io narrante è il giovane Nick Carraway che dal Middle West si trasferisce ad est di New York per lavorare in banca come agente di borsa.
SIMBOLO DI UN’AMERICA e QUINDI DI UNA SOCIETA’ AGGRESSIVA, CONSUMISTICA E BASATA SUI SOLDI E SUL POTERE.
Siamo negli Stati Uniti dei ruggenti anni ‘20, quando uscito dalla Grande guerra il paese vive tra il proibizionismo, i fermenti paritari del suffragio femminile, il boom capitalistico, la grande paura del bolscevismo, il gangsterismo: tratti contraddittori di una società in grande trasformazione, dal sogno americano all’ottimismo travolgente che poi alla fine del decennio porterà drammaticamente al tracollo economico tutti.
In questo contesto sociale Nick va ad abitare proprio vicino, alla destra della sua villa, al colossale palazzo di Gatsby, una copia accurata di qualche Hótel de Ville della Normandia, con una torre da una parte, una piscina di marmo e più di venti ettari di terreno.
Jay Gatsby è un giovane elegante che aveva superato da poco la trentina di cui non si conosce chiaramente l’origine della sua fortuna economica, ma di cui si vociferano loschi traffici ed illecite relazioni.
Gatsby è l’archetipo del bello e dannato che cova dentro spavalderia mista ad insicurezze e nel suo stesso gioco mondano e disinvolto verrà stritolato dagli ingranaggi di una società privilegiata che mal tollera gli “altri”.
Quello del grande Gatsby è una rilettura tragica: il personaggio assume quasi i connotati del tempo che vive in cui si aspira all’ascesa sociale, a far soldi scegliendo la strade più facili, ma non per questo più semplici, in cui il rischio e il pericolo mordono in continuazione e l’adrenalina iniziale si trasforma in sorta di sfinimento che logora e fagocita le forze.
La conclusione del romanzo è amara, ma aperta alla speranza da parte di Nick che, pur nella consapevolezza della caducità delle cose e della fatalità del vivere, il domani sarà foriero di piacevoli aspettative.
In tutto il romanzo si respira l’atmosfera ambigua del tempo, quel fervore progressista e rivoluzionario, quel tendersi avanti sempre proiettati nel futuro. Un’America, quella di quegli anni folli con l’americanismo ad oltranza, il successo economico, l’isterismo del guadagno a tutti i costi, la ricchezza come metro di giudizio dove non c’era posto per i poveri, per i falliti, l’illusione che i mezzi di prosperità fossero alla portata di tutti. Ma la crisi era dietro l’angolo…
Fitzgerald mette in contrapposizione lo stile libero e raffinato di vita dei ricchi e il loro cinismo brutale, la loro volgare ed ottusa moralità.
Lo scrittore riesce a dare vita con stile suggestivo a questa galleria di figure letterarie, modulando la scrittura con grande metodo: la tecnica narrativa di usare un narratore esterno mette il lettore-spettatore a un livello di osservazione più alto di quello sul quale stanno i personaggi e quindi da una distanza prospettica ideale.