Di un autore apprezzo sempre la voglia di fare e di mettersi in gioco. E David Cronenberg è diventato uno dei miei registi di culto proprio per questo motivo. Egli [il divino e sommo] è conosciuto per essere il massimo esponente del genere body-horror, se non proprio colui che ne ha fondato le basi, un po’ come Tolkien ha fatto col fantasy. E’ stata questa sua continua ricerca di qualcosa di nuovo da dire che gli ha permesso di proseguire la sua carriera e di creare dei veri capolavori del tutto estranei al genere col quale ha iniziato. Con questo film però ha superato sé stesso, creando un qualcosa di unico che raramente ha mai saputo shockarmi con tale efficacia e disgusto – e personalmente mi vanti di avere un bello stomaco – e creando uno spettacolo visivo davvero magistrale. Non per nulla, un film che è entrato a pieno diritto nella mia topten, nonostante prima di rivederlo ci pensi sempre due volte per l’effetto che può avere sulla mia già labile psiche.
Il mestiere del disinfestatore è duro, e William Lee lo sa bene. Da giovane era un aspirante scrittore, ma ora ha abbandonato ogni velleità artistica e vive in un piccolo appartamento con la moglie, disinfestando case dagli scarafaggi per sopravvivere. E le cose vanno finché non scopre che sua moglie Joan si droga con la polvere gialla che usa per sterminare gli insetti. Da lì inizieranno una serie di visioni, ai confini fra sogno e realtà, fino alle estreme conseguenze del tutto.
A prescindere da quelli che sono i propri gusti personali bisogna dare atto a Cronenberg di aver fatto un lavoro ai limiti della maniacalità, adattando uno dei romanzi più difficili (e a detta di altri, illeggibile) di sempre. Io c’ho provato a finire l’omonimo romanzo di William S. Burroughs, ma ho dovuto mollare l’impresa arrivato a pagina cento, e voi sapete quanto io odio non terminare le letture. Ma quello era troppo per me.
Le frasi sono apparentemente disconnesse e senza senso, questo perché Burroughs sentiva l’estremo bisogno di annotare tutto quello che provava e vedeva nei suoi stati allucinatori – o almeno così ho letto in girio, quindi non prendete per oro colato quello che dico perché sono una persona molto ignorante. La vera genialata di Cronenberg quindi non è stata quella di adattare un romanzo inadattabile, ma di fare una personale visione più che del romanzo in sé di tutti gli avvenimenti che portarono lo scrittore a partorire quella sorta di amenità letteraria, o di capolavoro senza tempo. A voi la scelta.
Per farlo però Davidino innesta nel tutto anche una piccola serie di eventi estranei al libro ma direttamente collegati alla vita dell’autore, quindi per capire fino in fondo questa pellicola è d’obbligo farvi prima una piccola ricerca su questo atipico romanziere. Tornando al film però possiamo notare come Cronenberg, nonostante sia particolarmente estraneo ai manierismi con la macchina da presa, qui sfoggi uno stile visivo perfetto e totalmente sui generis. Il regista canadese non parla delle visioni che può avere un drogato, ma si immerge in esse, disorientando e infine collegandosi all’origine proprio negli ultimi minuti del film, formando un discorso completo e raffinatissimo. Il film rimane un qualcosa di incatalogabile proprio per questa sua stranezza, ed è qui che sta quasi tutto il suo fascino primario. Ci muoviamo fra scarafaggi giganti che si trasformano in macchine da scrivere, alieni senzienti che perdono liquido amniotico dai peni-corni sulla testa, grotteschi bazar dove si vendono insetti caramellati e macchine da scrivere che si tramutano in simbionti scoperecci. Dopo tutti questi deliri, quindi, di che parla fondamentalmente questo film? E’ una pellicola che narra della gioia e della pericolosità dello scrivere (in origine Cronenberg voleva diventare scrittore ed era affascinato dai romanzi della beat generation), poiché è proprio il narrare che permette di scon-trarsi verso quella che è la propria vera personalità.
https://youtu.be/nGuiHjgaa_Y
“L’omosessualità è la migliore copertura” dice lo scarafaggio a un certo punto, ed è proprio quando Lee (alter ego di Burroughs) ha modo di mostrare la propria omosessualità che le cose ottengono la giusta visione, divenendo reali e non più il parto di una mente obnubilata dalle droghe. Burroughs infatti era omosessuale, cose che non fece obiettare molto i suoi genitori quando decisi di trasferirsi altrove, e qui questa preferenza sessuale si palesa a favore di una decostruzione che, da uomo rispettabile a inizio film, discende nell’abisso per la vera ricerca di sé. Fondamentalmente è così che io vedo questo film, ed è per questo che mi piace così tanto. E se poi ci mettiamo il nome di Cronenberg (che da solo mi fa mettere un punto in più a tutto, anche alla serie di Peppa pig se ci fosse un eventuale caso di omonimia) e il suo modo allucinatorio di raccontare le cose, il gioco è fatto. Il capolavoro c’è in tutto e per tutto!
Da follia nasce altra follia, e da una certa follia nasce Cronnie! Non me la sento di consigliare a tutti questo film, anche perché facendolo vedere a certe persone ho rischiati di far terminare un’amicizia. Di certo però non lascia indifferenti, ed è quello che dovrebbe fare ogni opera.
*FONTE: http://recensioniribelli.blogspot.fr