‘I riflessi disegnano la solitudine
di chi resta solo con se stesso
per rinascere nell’abbraccio di un altro.’
Il Signor Riflesso
Il Signor Riflesso vive in una cornice e siede, tutto il giorno, incollato alla poltrona.
Qualche volta i pensieri gli rotolano giù dalla testa sul tappeto che odora di India. È quasi sempre stanco e il sonno che gli pesa sulle ciglia dipinge gli occhi di chi ha perso la propria serenità.
Osserva spesso i suoi capelli, non li trova brutti, ma neanche belli. Li porta raccolti in una coda, per vedersi meglio.
Il Signor Riflesso ha più di cento anni ed è solo.
Immagina sempre nuove profondità da esplorare, nuove forme da inseguire, ma è profondamente triste perchè non vede altro che se stesso. Quando sorride, lo fa a se stesso. Ogni bacio è per se stesso. Di parole si riempie le orecchie e le lacrime le manda giù. Se si osserva, si vede cambiare rimanendo sempre uguale. Un imitatore di se stesso che non conosce nient’altro.
Grida l’orologio con i suoi rintocchi puntuali, sincronizzati alla pioggia che fuori bagna le strade e dentro i cuori. Il cuore del Signor Riflesso è più gelido del gelo. Guardarsi di continuo lo spaventa.
Una sigaretta stretta tra le dita. Spenta. Solo lui dentro allo specchio dove il viso è risparmiato dal grigiore del tempo. Si crede sempre pronto a far saltare i coperchi che lo trattengono, ma non funziona mai.
Quando piove il Signor Riflesso è così triste che quasi non si riconosce. Non può annusare i fiori, perdersi nel cielo o nell’abbraccio di un altro perchè ondeggia vorticosamente tra sé e l’immagine di sé. Ma le immagini non hanno contorni e sfuggono, non offrono, ma neanche ricevono amore.
Da piccolo ha imparato a trasformare i dolori in punti di forza e le attese in melodie sospese, ad affidare a se stesso tutto il coraggio per non cadere, ma oggi la quotidianità non gli offre i colori dell’amore, quindi non sa cosa significhi amare se stesso. Non ama nessuno. Odia. Odia la solitudine e la monotonia dell’immagine di se stesso che gli si impone amaramente.
Un giorno il Signor Riflesso saltò fuori dallo specchio, con un balzo.
Appena qualche giorno prima si era concesso una vaga fantasticheria su come sarebbe potuto essere il mondo oltre lo specchio, quando l’aria di Maggio è inzuppata dell’esplosione dei fiori colorati che a primavera punteggiano gli orizzonti e i rami, recuperato tutto il verde, ne restituiscono a quelli vicini
in un abbraccio naturale.
Fino a quel momento la sua esistenza si era consumata nel nulla quotidiano.
Si ritrovò a piedi nudi in un vasto prato, con la sigaretta spenta tra le dita.
La accese e il fumo si levò a spirale dalle sue labbra. In fondo una piccola casa affacciata sulla distesa del lago tremante della luce del tramonto e una veranda grigia come un cielo coperto che ospitava una vecchia sedia a sdraio con un cuscino rosso corallo. Nient’altro. Intorno l’erba si schiariva per morire dietro l’orizzonte. Il Signor Riflesso si sentì sfiorare la spalla da dietro e quando si voltò vide una ragazza visibilmente contenta. Il suo sguardo pesante si fece etereo: gli occhi gli brillarono.
Seguì uno di quei silenzi nei quali due persone concordano tacitamente di non intraprendere nessun discorso, ma questa volta fu inevitabile, si guardarono intorno e non videro nessuno.
“Ti ho preparato qualcosa da mangiare,” incalzò lei “vieni!”.
Il Signor Riflesso intuì che la casa là in fondo dovesse appartenere a quella ragazza. La seguì.
“Io mi chiamo Clara e tu devi essere il Signor Riflesso,” riprese “ti immaginavo un poco più giovane, a onor del vero, ma hai l’aria simpatica.” Le sue parole erano sincere e il Signor Riflesso ricevette il primo complimento della sua vita. Lo strinse forte dentro al cuore e da quel giorno nessuno glielo avrebbe più rubato.
“So cosa significhi essere soli,” Clara si era fatta seria “ma viaggiare con coscienza nelle profondità di noi stessi ci insegnerà, nelle profondità degli altri, a camminare senza perderci”.
Nel frattempo raggiunsero la veranda. Il Signor Riflesso non aveva pronunciato una sola parola. “Che meraviglia!” rimediò, non appena pietanze di ogni genere, disposte su un tavolino che prima non aveva notato, gli invasero i sensi. L’odore di spezie era così intenso che gli fece pizzicare il naso. Si stropicciò gli occhi incredulo e notò che anche Clara non portava le scarpe, ma non si domandò il perchè.
Presero a mangiare e il silenzio fu prolungato. Un silenzio fatto di sapori decisi mentre quell’immenso panorama di verde scivolava al loro fianco ondulato.
Il Signor Riflesso non aveva mai assaporato cibi così deliziosi, né visto un prato così verde esplodere di tranquillità. Non aveva neanche mai scambiato sguardi sereni con occhi così azzurri. Dentro allo specchio, solo con se stesso, le notti si susseguivano nere e immense sotto cieli spogli.
“Spero non le dispiaccia se le dico che tra poco dovrò andare” disse Clara sorridendo dolorosamente. E proseguì: “Lei può fermarsi finché non avrà terminato di mangiare o anche oltre.”
“E’ molto gentile da parte sua,” rispose lui “ma mi sarebbe piaciuto discorrere ancora un po’ con lei. Ci siamo appena presentati…”
“Non è possibile,” lo interruppe “ora proprio no”.
“E quando?” chiese il Signor Riflesso, e trangugiò l’ultimo sorso di vino rimasto nel calice.
“Potrà venire a trovarmi quando vorrà” disse Clara con voce vibrante, nella quale risuonava la paura nascosta che non lo avrebbe più rivisto. Se ne andò, quasi sparendo, dopo aver baciato sull’angolo della bocca il Signor Riflesso che rimase, un poco stordito, solo in quell’immensità naturale.
Per la prima volta il peso della solitudine non lo sovrastò. Spalmò su una fetta di pane un bel po’ di marmellata di arance scura e curiosamente speziata e terminata la cena, si mise a camminare. Era sembrato un sogno, ma non lo era. Aveva incontrato una ragazza bellissima che aveva preparato delle pietanze squisite appositamente per lui e che alla fine lo aveva anche baciato.
Con un salto è di nuovo dentro allo specchio, incollato alla poltrona. Grida l’orologio con i suoi rintocchi puntuali, sincronizzati alla pioggia che fuori bagna le strade e dentro i cuori. Ma oggi il Signor Riflesso si sente arricchito del potere dell’amore. La sua immagine gli sembra diversa, si sofferma sui suoi occhi grigi e lascia che le circostanze affiorino lentamente in superficie.
Quel magico incontro gli ha permesso di amarsi dentro l’altro. Clara gli ha mostrato i passi della danza dell’amore, un misterioso passo a due che lei aveva condito con il brivido della scoperta che, nella solitudine, la paura è immaginaria, che amare se stessi è il primo passo per rinascere nell’abbraccio di un altro. Un vivere senza fondo. Da oggi, quando il Signor Riflesso studia la sua immagine, si piace come gli piacciono gli occhi di Clara e sogna di guardare l’orizzonte giallo seduto su quella vecchia sedia a sdraio con il cuscino rosso corallo.
Non è più fisso in se stesso in un giorno verso il quale si sveglia o in un momento.
Ha aperto una porta e sente che questa è la vita.
Grazie ad Alice per questo stupendo racconto 😉