Il suicidio seduce per la sua facilità di annullamento ERNESTO SABATO (da Il Tunnel)


Tornai a casa con una sensazione di totale solitudine.
Generalmente, quella sensazione di sentirmi solo al mondo si mescola a un orgoglio sentimento di superiorità: disprezzo gli uomini, li trovo sporchi, brutti, incapaci, avidi, volgari, meschini; la mia solitudine non mi spaventa, è quasi olimpica.
Ma in quel momento, come in circostanze simili, mi trovavo solo come conseguenza dei miei peggiori difetti, delle mie azioni indegne. In questi casi sento che il mondo è spregevole, ma comprendo che anch’io ne faccio parte; in quegli istanti m’invade una furia di annichilimento, mi lascio accarezzare dalla tentazione del suicidio, mi ubriaco, vado a puttane. E sento una certa soddisfazione nel comprovare la mia propria bassezza e nel verificare che non sono meglio degli orribili mostri che mi circondano.
Quella notte mi ubriacai in una bettola malfamata. Ero sbronzo fradicio quando sentii talmente schifo della donna che era con me e dei marinai che mi stavano intorno che uscii di corsa in strada. Camminai per Viamonte e scesi fino alle banchine del porto. Mi sedetti e iniziai a piangere: l’acqua sporca, lì sotto, mi tentava: perché soffrire? Il suicidio seduce per la sua facilità di annullamento: in un secondo, tutto quest’assurdo universo crolla come un gigantesco simulacro, come se la solidità dei suoi grattacieli, delle corazzate, delle navi da guerra, delle prigioni non fosse altro ce una fantasmagoria, senz’altra solidità dei grattacieli, delle corazzate, delle navi da guerra e delle prigioni di un incubo.
La vita, alla luce di tale ragionamento, appare appunto come un lungo incubo, da cui tuttavia ci si può liberare con la morte, che diventerebbe, così, una sorta di risveglio. Ma svegliarsi per cosa? Questa irresolutezza a abbandonarsi al nulla assoluto e eterno mi ha fatto desistere dai miei progetti di suicidio. Nonostante tutto, l’uomo è talmente attaccato a ciò che esiste, che alla fine preferisce sopportarne l’imperfezione e il dolore che causa la sua bruttezza, piuttosto di annientare la fantasmagoria, con un atto della propria volontà. E capita, anche, che quando giungiamo al limite della disperazione che precede il suicidio, per aver esaurito l’inventario di tutto ciò che è male ed essere arrivati al punto in cui il male è insuperabile, qualsiasi elemento positivo, per piccolo che sia, acquisisce una valore sproporzionato, finisce per essere decisivo e ci afferriamo a esso come ci aggrapperemmo disperatamente a un filo d’erba di fronte al pericolo di precipitare in un burrone…

——->ALTRO DI : Ernesto Sabato