Il vento dell’umanità sono solo gli uomini in lutto.
Anna Maria Ortese (da Alonso e i visionari)
Si venne a parlare, dopo un po’ – quasi con imbarazzo dapprima, poi con passione -, degli effetti dell’industria sull’attuale malessere psicologico dell’umanità. Secondo Edwin, i danni dell’ambiente e la saturazione delle città erano il male minore. Il vero male stava nella sconfinata parità, o ansia di parità, fra tutti gli esseri, che ne era derivata. Odiava – mi permetto di riferirlo in quanto del tutto ignorante e indifferente verso queste distinzioni – la democrazia, e affermava che la sparizione del mistero (colpa, rimpianto, memoria e desiderio di espiazione di colpa) delle società occidentali, o per meglio dire la sua arbitrarietà cancellazione, frutto di tanti orgogliosi -ismi, aveva creato disturbi profondi; e si doveva a ciò, più che a fattori economici o politici, il trionfo poco rassicurante delle ideologie: e tutto il ribollire e lo svanire delle idee, dei sistemi. Ribollire e svanire senza soluzione.
(…)
“Mi limiterò a dire una sola cosa, allora” disse qui Edwin, in modo faceto eppure segretamente serio “la gran parte degli uomini è di razza tranquilla, come è tranquillo il mare. Non chiede, in realtà, mutamenti, se non di superficie, e le rivoluzioni e le ideologie le sono perfettamente inutili. E,come il mare, non si muoverebbe mai, dico mai, se non ci fosse il vento. Ma il vento c’è. Il vento dell’umanità non sono né i poveri né i ricchi, non le differenze sociali (per quanto poveri e ricchi farebbero bene a non dichiararsi guerra a vicenda), il vento dell’umanità sono solo gli uomini in lutto”.
“Non capisco… che vuol dire?” fece Op con bontà, eppure tremando.
“Gli uomini della perdita!” con semplicità, quasi di medico, il giovane Edwin. “Gli uomini che hanno perduto, per sempre, qualcosa d’inestimabile, il che non accade a tutti”.
“Discorso triste, ma, in genere, ciascuno di noi ha perduto per sempre qualcosa di importante” intervenni, un po’ ironica e davvero mediocre, io.
“Cara signora, la cosa di cui parlo non è una cosa. È una memoria, direi.”
“Ciò conferma quanto dico. Ma, di grazia, memoria di che?”
“Lei ha toccato il punto dolente. Può darsi anzi che io mi sia espresso con difetto. La cosa perduta non c’è più. Il vuoto c’è”.
“Dobbiamo dunque supporre che fosse una cosa molto…molto…” commentò commossa Flora.
“Parole non ce ne sono, per dirla. Che cosa sia non si sa. Ma non è mancanza recente. L’oggetto, anzi, è tutt’altro che recente. La sua assenza, dai più, non avvertita se non con qualche tiepida malinconia. Ciò che li spinge, ridicolmente, a contemplare i tramonti. Dai pochi è avvertita dalla nascita, subito, per sempre”.
“Costoro sono poeti, immagino.” arrischiai un po’ timida.
“Non necessariamente letterati, né bravi… uomini buoni, comunque. Ma quando sono impotenti, e quasi tutti lo sono, a lavorare sulla memoria; quando non riescono a illudersi sui loro sentimenti “buoni”; quando non gli bastano, allora si vendicano, e sono gli uomini del delitto gratuito.”
“Che… allora, nn sarebbe così gratuito, sarebbe – forse – disperazione.” disse Op pensierosamente.
“Infatti. E perciò, per il delitto gratuito, che è l’azione più diffusa tra gli uomini del lutto, la scienza chiede soccorso alla psichiatria… per capire, vedere a che profondità può essere avvenuta la perdita. Ma… ma… anche la psichiatria è cieca”.
“Cosa non è cieco, Dio santo!” osservai anch’io piuttosto sommessamente.