INDAGINE SU UN CITTADINO AL DI SOPRA DI OGNI SOSPETTO. Elio Petri


Gian Maria Volontè Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto – Repressione è civiltà by Keegan Lora
Fenomenologia dell’esercizio del potere

“Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” è soprattutto opera in cui viene messo in scena, in modo esplicito e coraggioso, l’esercizio del potere attraverso l’azione del Commissario. Gian Maria Volonté regala una delle sue prove interpretative più convincenti ed eclatanti. Lo spettatore assiste a un’immedesimazione che rasenta la fusione fisica e psicologica con il testo filmico, dove il corpo e la mente dell’attore sono strumento nelle mani del regista per la nascita di un personaggio complesso, pieno di sfaccettature psicologiche, arricchito da tic verbali (l’utilizzo grottesco dell’intonazione dialettale) e fisici (le smorfie facciali e il movimento delle mani e delle braccia, a sottolineare le interazioni con gli altri attori/personaggi all’interno della scena).
Il film fu scritto nel ’68 e girato nel ’69, in un momento storico-politico particolare per l’Italia, sullo sfondo della strage di Piazza Fontana, e all’inasprimento dello scontro sociale in atto,  e dell’affaire del commissario Luigi Calabresi, ritenuto il responsabile da un parte della sinistra extraparlamentare della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli alla Questura di Milano, e oggetto di una campagna stampa che sfociò poi nel suo assassinio nel ’72.
In questo clima di tensione la pellicola fu messa sotto processo dalla censura per il soggetto narrato – per la rappresentazione che si faceva della Polizia (e molti videro nel personaggio del Commissario più di una somiglianza con Calabresi) –  e rischiò di non uscire nelle sale cinematografiche. Ma fu assolto dalla magistratura e riuscì a ottenere un grande successo di pubblico nelle sale italiane. Certo, molti eventi furono fortuiti in quanto il film fu concepito prima degli accadimenti reali, ma rimane un’opera “politica” nel senso di critica al governo e della classe dirigente dell’epoca.
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Per Elio Petri però questo fu solo un punto di partenza per affrontare un discorso più ampio. L’interesse principale era mostrare l’esercizio del potere da parte dello Stato in una messa in scena che rispettava le regole estetiche e l’utilizzo drammaturgico del linguaggio cinematografico. Petri, pur essendo un regista di area marxista, fu osteggiato e criticato anche dalla sua parte proprio per questa suo voler fare comunque “arte” utilizzando tutti i meccanismi, anche spettacolari, che la macchina cinema gli metteva a disposizione. Non faceva del cinema “realista”,  ma rappresentava e narrava personaggi complessi in situazioni piene di sovrastrutture. Il suo film entra all’interno di un sentire del cinema internazionale, rendendo “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” un’opera universale e fruibile da chiunque. Ed è interessante vedere come alcuni aspetti trattati nel film di Petri si intravedano in qualche modo nel cinema americano della New Hollywood. Si possono trovare, ad esempio, più di un’assonanza tematica in film coevi come “Una squillo per l’ispettore Klute” di Alan J. Pakula, “I tre giorni del Condor” di Sydney Pollack, “La conversazione” di Francis Ford Coppola, che dimostra quanto questo film sia stato più amato all’estero, in particolare dai cineasti statunitensi.
Nella scrittura di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” Pirro fu molto influenzato dall’opera di Bertolt Brecht, mentre Petri era affascinato dalle teorie psicoanalitiche freudiane e da Franz Kafka (una citazione del quale appare nel finale della pellicola, come tributo allo scrittore boemo) che hanno riscontro nella costruzione psicologica del Commissario e della vicenda narrata. L’esercizio del potere diventa azione sistemica di controllo della masse attraverso l’uso della coercizione, dell’intimidazione, della rappresentazione dell’essere al di sopra della legge che vale per il popolo e non per i suoi servitori. E l’omicidio dell’amante da parte del Commissario fin dall’inizio è l’affermazione estrema del suo esercizio, in una rappresentazione decadente e nichilista.
Nello svolgersi dell’indagine attraverso l’esplicitazione di indizi prodotti dal Commissario, in un percorso di autoflagellazione durante lo svolgimento della narrazione, questa sequenza è emblematica dell’esercizio del potere assoluto incarnato nel personaggio del Commissario. L’omicidio avviene nello stesso giorno in cui il Commissario da capo della Squadra Omicidi viene nominato responsabile dell’Ufficio Politico e nel suo discorso programmatico di insediamento proclamerà: “(…) L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite.(…) Noi siamo a guardia della legge, che vogliamo immutabile, scolpita nel tempo. Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare, a noi il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino. Repressione è civiltà”. Petri dà forza al messaggio scegliendo di utilizzare carrellate e movimenti della macchina da presa profondi di grande maestria registica, evitando il controcampo, proprio per far prendere corpo alle parole del personaggio. Volonté usa la voce con toni che variano dal basso all’alto, e viceversa, accompagnati dal movimento della macchina da presa che rende la sensazione di cooptazione dell’intera platea – pubblico passivo e reattivo, vittima e artefice allo stesso tempo –  all’interno di un controllo pressoché perfetto della messa in scena.
Altro esempio di questa rappresentazione sono i tre interrogatori che si snodano nella diegesi filmica.
Il primo avviene subito dopo la scoperta del corpo di Augusta Terzi. Uscendo dal proprio ufficio di capo della Squadra Omicidi, il Commissario raggiunge i colleghi che stanno interrogando un sospettato. Il presunto assassino è seduto, attorniato dai poliziotti che incombono e con il Commissario che stappa le bottiglie e invita tutti a bere (compreso il sospettato) e guardandolo, dall’alto in basso, afferma: “Qui l’unico colpevole sono io”. La macchina da presa è ossessiva e oppressiva e lo sguardo è inquisitorio, soffocante, pur essendo un momento di (finta) giovialità.
Il secondo interrogatorio è quello dell’ex-marito della Terzi, girato nei sotterranei della Questura (sotto il livello della città, al di sotto delle regole civili, al di sopra della legge). Il Commissario assiste al di là di un vetro come uno spettatore qualsiasi: l’uomo viene coperto da improperi e minacciato dai poliziotti, in un contesto di assenza di qualsiasi elemento di diritto. Il Commissario – dopo aver ricordato un gioco con Augusta che subisce un finto interrogatorio – entra e partecipa anche lui alla violenza psicologica di Terzi sentenziando alla fine: “Per me è innocente”.
L’ultimo interrogatorio avviene sempre nelle medesime stanze. Degli studenti sono stati fermati in un rastrellamento, dopo che è scoppiata una bomba nei pressi della Questura. Il Commissario interroga e tortura uno dei sospettati, facendogli bere dell’acqua salata e facendogli così confessare che il colpevole è Antonio Pace. Quest’ultimo è stato un amante di Augusta ed è il giovane che ha visto uscire il Commissario dalla casa dell’amante subito dopo l’omicidio nella prima sequenza. Dopo un’elissi temporale, il Commissario interroga Pace che gli tiene testa e da un iniziale comizio contro la democrazia, il Commissario piagnucola e implora il Pace di denunciarlo in una messa in scena dai toni fortemente grotteschi e iperrealisti, dove si assiste a un ribaltamento dei ruoli tra accusato e accusatore.
Le tre sequenze sono, in un’evoluzione diegetica, la messa in scena dell’esercizio quotidiano della sopraffazione che tracima dalle regole ed elimina i confini tra bene e male, dove i corpi sono soggetto e oggetto e l’emotività è fuori controllo in una rappresentazione simbolica della farsa del potere e del suo esercizio.
*Da: Ondacinema.it