Alle sette il sole tramonta e comincia un lento crepuscolo.
Dalla cucina ci giungeva un suono d’ armonica a bocca. E di una chitarra.
Profumi di cibo in forno. (Fanno il pane in casa). Alle otto o poco dopo una ragazza scalza ci ha portato una lampada a petrolio, della focaccia appena uscita dal forno, olive pomodori e yogurt (anche quello fatto in casa). Mi sono costretto a mangiare qualcosa così che mangiasse anche ilana. Lei masticava controvoglia per incoraggiare me. Alle nove e un quarto ho detto: comincia a fare freddo. Ilana ha detto: sì. E ha aggiunto: dai andiamo. E io ho risposto bene.
Mi ha aiutato a salire in camera mia, a uscire dai miei abiti (dei jeans e una maglietta con sopra stampato Braccio di Ferro), e coricarmi sul letto di assi. Uscendo mi ha esortato la promessa di chiamarla se avessi avuto dei dolori la notte (Boaz mi ha messo accanto al letto l’estremità di una corda. Se la tiro, tintinnano le tazze di latta che ha legato al capezzale del letto di ilana, al piano terra). Ma non ho mantenuto la promessa. Invece mi sono alzato, ho trascinato una sedia e sono rimasto per ore alla finestra buia, ha i vetri tenuti insieme con del cerotto. Ho cercato di captare la notte e di capire che cosa facesse la luna ai colli di Manasse, verso oriente. Mia madre stava sempre qui nella sua ultima estate. (…)
Fino alle due del mattino sono rimasto alla finestra a sentire le voci della comune di Boaz. Cantavano intorno al falò in giardino, melodie a me ignote. Una ragazza suonava la chitarra. Boaz non mi è parso di vederlo né di sentirlo. Forse si era arrampicato sul tetto per stare solo con il suo telescopio. O forse era sceso al mare (ha una barchetta fatta senza un solo chiodo, che porta sulle spalle sino la spiaggia a cinque chilometri da qui. Quand’era piccolo gli avevo insegnato a costruire un kon Tiki di legno leggero tenuto insieme con delle funi. Evidentemente non se n’è dimenticato).
Alle due la casa si è avvolta di tenebra e di un silenzio profondo. Solo le rane hanno continuato. E qualche cane in lontananza. E la risposta dei cani in cortile. La volpe e lo sciacallo che infestavano questa zona quando ero piccolo, sono scomparsi senza lasciare traccia.
Sin verso mattina sono rimasto alla finestra, imbacuccato nella coperta di lana come un ebreo in preghiera. Mi sono immaginato di udire il mare. (…)
La comune hippie va avanti intorno a me anche durante il giorno, come sottovoce in sordina. Come io fossi un fantasma sbucato dalla soffitta e impiantatosi nelle stanze. Di stanze qui non ne mancano. La maggior parte è ancora abbandonata. Da quelle finestre spuntano rami di fico e gelso. Mi piace il modo in cui qui Boaz officia – o piuttosto riveste – il ruolo di primo tra pari. Mi piace quando cantano in cucina, quando lavorano o stanno accanto al fuoco in cortile sin nel cuore della notte. I suoni dell’armonica. Il fumo dei fornelli. Persino il pavone che se ne va a spasso come un comandante tonto e pieno di sé fra le schiere di colombe nei corridoi e nei pianerottoli. E il telescopio piantato sul tetto (mi piacerebbe salire lassù. Vorrei chiedere a Boaz di invitarmi a un viaggio astrale benché io non capisca quasi nulla in fatto di costellazioni, oltre quel poco che serve per orientarsi negli spostamenti notturni.) (…)
la maggior parte del tempo la trascorre in quella giungla che una volta era una piantagione: a tagliare tronchi con l’ascia, segare rami, liberare delle pietre, portare secchi pieni di sassi sulla spalla nuda come Atlante il Titano, zappare, spostare carriole di detriti. Oppure sta in un’ala dell’edificio e mescola con la vanga e la zappa malta con ghiaia e ranella, versa il cemento nel reticolo di ferro che ha formato e getta un pavimento nuovo. A volte lo ritrovo a fine giornata in cima a uno dei vecchi eucalipti piantati qui da mio padre cinquant’anni fa, appeso su un’amaca che si è sistemato a un’altezza di otto metri, che, suscitando il mio stupore, si legge un libro. O conta le nuvole da vicino. O parla agli uccelli nella loro lingua. (…)
Le ragazze che vivono qui: due o tre americane. Una francese. Una che mi sembra una liceale israeliana di buona famiglia, forse in romantica fuga da casa, forse per realizzarsi. O forse come alternativa al suicidio? Tutte sembrano essere sue amanti. Può darsi anche i ragazzi. Che ne capisce uno coome me?
Boaz, secondo la mia stima, si avvicina al metro e novantacinque, pesa almeno novanta chili. E tuttavia è agile, felino, cammina giorno e notte scalzo e nudo a parte una cinta sbiadita sui lombi. I capelli biondi opachi cadono fin sulle spalle. Ha una barba morbida e biondastra, occhi sempre semichiusi, labbra che non tiene mai chiuse del tutto: tutto questo gli conferisce un’espressione da Gesù in un’icona scandinava.
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