LA FORMA DELLA VITA. La Poesia di CESARE VIVIANI

VI.

Molte cose agitano la vita
una sola la rappresenta.

Quelli che vogliono diventare famosi
e imitare coloro che lo sono
per nascita o rapida fortuna, e aspirano
alla pubblicità, al successo, ad andare
in televisione… E se incorrono
in un incidente – un animale
l’ha aggredito dal cielo –, l’accompagnatrice
diffonde la notizia: “È uno scrittore famoso”,
così da utilizzare la disgrazia
volgendola in pubblica risonanza… E temono
di sparire nell’oceano dei perdenti, mondo
illimitato nello spazio e nel tempo, e cercano
di emergere mutando l’aggressività
in indifferenza e distacco dai sentimenti…
Impietosi verso le relazioni umane,
verso gli affetti e coloro che hanno a cuore
il rispetto del cuore, fanno della paura
freddezza e della freddezza dimostrazione
di forza o esempio di padronanza e dominio…
lasciateli andare, lettori, questi emergenti,
politicanti semiologi, filosofi influenti,
che facciano il loro giro
sotto i riflettori e si illudano
di aver capito il giusto modo di vivere,
si sentano pure vincenti!

Alfredo Galli non sopporta i poveri,
non sopporta i ricchi, né la modestia
insinuante degli uni, quello strisciare
che non si arresta di fronte a niente, né la sicumera
intollerante degli altri, quel rifugiarsi
nell’orgoglio di fronte a qualunque
condivisione. Non sopporta
i clienti, e nemmeno la vecchia donna delle pulizie.
E deluso
si conforta con il pensiero delle sue collezioni.

E quando uno è sicuro di avere raggiunto
il vero e di contenerlo nei suoi pensieri,
se guarda con più attenzione nella sua mente
con sguardo improvviso, spregiudicato, nuovo,
vede soltanto le proprie cose, traviste,
ribattezzate, nobilitate, ma sempre
e soltanto effetti delle proprie cose.

Non c’è tema positivo di pensiero
che allontani dal male e ritempri
quanto la separazione dai temi, distacco
dai valori, silenzio. Non c’è amore intenso
quanto quello che non vede oggetto appagante,
premio consolante, percorso fattibile
anche se diretto a cosa che non si dà:
perché l’oggetto
non sospinge il cuore, lo frena.

Ma la perfezione, la purezza portano con sé
un sacrificio incontrollabile, perché non c’è
quantità consigliabile, punto medio di saggezza,
alternanza benefica di tempi e di intensità,
ma per esse vale una sola parola: “sempre”.
Sono sempre da desiderare, sempre da inseguire,
fino al fischio estremo, fuori da ogni cautela.
La grande alternativa, di massa,
è l’amministrazione del senso, la vita ragionata,
l’intensità mescolata alla realtà,
la combinazione vantaggiosa, ovvero tante cose,
nell’illusione di totalità o almeno
di una limitazione delle perdite.

Ma dov’è la massa? È sempre nelle innumerevoli
storie individuali ancora riferibili,
seppure in tre minuti, tra conoscenti –
i profughi e i piccolissimi possidenti,
gli assassini e le vittime, gli isolati e gli utili,
i componenti delle famiglie che mantengono
il rango, gli abili trasformisti,
quelli che tengono a mente
tutto, e poi i dimenticati
e i mai ricordati che si lasciano andare nel buio
o vivono in stato di sorprendente cura di sé –,
oppure è un fiume irrappresentabile, invisibile –
altro che adunata di centinaia di migliaia di uomini! –,
un transito inavvertibile di arrivi e scomparse,
e sostituzioni, energie che spuntano e cadono,
riassorbite dalla terra e risorte,
infinite sincrone intermittenze, luce,
luce continua, lux perpetua?

È come se la terra arida non potesse
accogliere subito la prima pioggia e l’acqua
comincia a scorrere sul terreno, quasi incompatibile,
quasi che la terra dovesse continuare a patire.

Gli amici dei genitori hanno sempre un fascino
particolare, come se promettessero
quell’amore che i genitori rifiutano.
Solo pochi incontri aveva avuto Alfredo
con Marco Fiori, amico del padre, ma sufficienti
per ammirarne l’immediatezza, il calore.

Anche riducendo in schiavitù si può salvare,
e mai comunque, mai, dando al bisognoso
senza far pagare quello che ha richiesto.
E con il contatto, con la stretta si può allungare
la vita, anche se la stretta è una catena.

Proprio nella terra della sua origine,
dove ritornava a passare la vacanza estiva,
Fiori incontrò un’iniziativa inquietante.
Alcuni ricercatori si proponevano
di raccogliere tutto ciò che veniva eseguito
nell’arte della musica.
“ma tutto – obiettava Fiori – è un sogno di innocenza,
di totalità, di onnipotenza, non si può
non scegliere, non limitare…”
“Le nostre forza fisiche ci limiteranno,
ma non la qualità dell’opera: come possiamo
stabilire la qualità dell’arte?” “Ma ammassare
la quantità è solo un’operazione materna,
pura accoglienza, semplice conservazione!”
“Ben venga la manutenzione, la cura, piuttosto
che un’ipocrita oggettivazione dei valori,
una selezione e una graduatoria imposte con l’aria
della necessità o del suggerimento.
Creda, non c’è modo
di stabilire quale sia il pensiero più bello,
quale sia l’atto più vero”. “Ma bisogna affrontare
questa impossibilità con la scelta, non con l’assenza
di scelte!” “Una raccolta indiscriminata
è insopportabile perché è insopportabile
rinunciare al privilegio di una qualche superiorità
,di un’eccellenza, è uno scandalo
insopportabile l’uguaglianza. Non si rinuncia
a pensare di essere migliori o di avere
una distinzione, di essere distinti, ma creda,
è molto più coraggiosa la pratica dell’uguaglianza
che non quella della selezione”. Fiori lasciò
il campo esausto.

Fiori non amava le donne, ne aveva
un estremo bisogno, ma non le amava.
Non poteva vivere se mancava la loro presenza:
gli riducevano
un dolore sovrumano, che aveva in sé, intollerabile,
gli permettevano di sopravvivere. Lui non avrebbe
mai accettato questa definizione: anzi pensava
di essere una delle poche persone al mondo
capaci di amare, mentre vedeva negli altri, quasi sempre,
intenzioni strumentali di convenienza.
A chi gli avesse obiettato che quest’attaccamento
irrinunciabile, questa dipendenza manifestava
una realtà ben diversa dall’amore, avrebbe risposto
che non sapeva che farsene di queste definizioni,
di queste misure psicologiche applicate al cuore.
A dire il vero Marco non sopportava
i difetti femminili, a cominciare dai molteplici
modi di chiedere, anzi di ottenere,
attenzione su di sé. In ogni donna
vedeva chiaramente un occulto desiderio di dominio,
un’incapacità di rinunciare al comando.

XXXII.

Nella stessa città, nelle stesse metropoli
ci sono discoteche piene di giovani:
alcuni non aderiscono completamente,
dicono che vanno lì per parlare, ma i più
cercano un modello da imitare ogni volta di più
cercano un modello da imitare ogni volta di più,
lo cercano negli altri, nel loro atteggiare il corpo,
il volto, smorfie, espressioni, trucchi, vestiti,
finché lo trovano, si sentono arrivati ed è stato
come entrare in un ordine religioso,
o in un corpo militare.
Oppure questa identificazione non c’è, e allora
è come perdersi in una voragine,
rimbalzare tra pareti nel vuoto.

Ci sono anche persone mature,
che di fronte ad atteggiamenti di prepotenza
si interrogano pacate, calme, come col desiderio
di studiare l’intolleranza altrui, quasi volessero
aiutare il prepotente a sciogliere
i problemi della sua vita,
ma non si riesce a capire se lo fanno
per maturità o per convenienza.

C’è poi l’esercito dei terapeuti, la moltitudine
dei combattenti contro il male, medici e psicologi,
assistenti sociali e domiciliari, terapeuti
di ogni vocazione e colore: si va da quelli
che non ammettono che il paziente getti via i farmaci
e con i soldi prestati torni al vizio,
e si arrabbiano come un genitore,
a quelli che, elettrizzati intellettuali,
si appassionano nella ricerca a capire
le ragioni occulte dei legami
di dipendenza e di distruzione, fino a coloro
che vivono questo lavoro come un impiego.

(Oh scandalo delle misure! Questi esseri umani
che hanno come dimora un cassetto, il ripiano
di un armadio: rappresentazione del figlio,
che per il genitore non si fa mai uomo).

(E nella disobbedienza, nella provocazione aggressiva
quanto tormento della colpa: non merita
una punizione, come si crede,
ma un altro dono).

Nella stessa città ci sono quelli
che maneggiano il falso, il contraffatto,
porgendolo come vero, per guadagno,
e quelli che lo maneggiano ignorando
e lo amano come vero. La linea di confine
tra vero e falso è invisibile.
Così come ci sono molti che hanno
una piccola casa e la curano come una reggia,
ne vano fieri, orgogliosi e la riempiono
di lucidi accessori brillanti.

Ci sono quelli che sanno del loro male incurabile,
ma non ne parlano, appena con un familiare, sanno
che la morte va ricevuta in silenzio, senza richieste,
senza chiacchiere, come ha fatto tra i santi
il pittore Pierluigi Lavagnino.

Ci sono pochi che sanno
che non si ottiene niente con l’insistenza.
E molti che insistono per ottenere
e ottengono.

(Nei primi anni di vita erano di continuo
raggiunti dalle immagini esterne.
Poi crescendo furono le interne a colpirli,
finché con l’avanzare degli anni tornarono potenti,
influenti quelle esterne.
Solo alcune volte non furono schermo per immagini,
e furono istanti di impareggiabile partecipazione).

Genitori che provano a dare un indirizzo ai figli,
ma sono travolti dagli esempi della pubblicità,
dei media:
i figli scoprono l’inconsistenza dei padri,
la loro debolezza in confronto alla forza
delle immagini collettive,
e li sputtanano.
Genitori che in partenza vedono persa la partita,
e si dedicano ad altro, non si cimentano.

Psicanalisti che come primo lavoro fecero
gli insegnanti di scuola e conservano
quel piglio didattico, quella premura.
Malevoli polemici che dicono:
“Avrebbero fatto meglio a continuare a insegnare”.

Scrittori soddisfatti, più che contenti,
compiaciuti della loro scrittura e intelligenza.
Intellettuali che hanno tradotto
la loro aggressività e violenza in uno stile di vita,
in un progetto di esistenza lucido, distaccato,
un po’ feroce e sadico. Se un collega
avesse uno smarrimento, uno sconforto, chiedesse loro
una rassicurazione, una garanzia di sincerità,
si metterebbero a ridere.

Ci sono poi gli opinion leader che esprimono
particolare attenzione e interesse
per le “vite ignorate”,
per gli uomini del mondo: si nutrono
dell’illusione che le loro siano sensate,
conosciute, apprezzate, “rinomate”.

(La linea di confine tra vero e falso:
bastano due persone che dicano “è vero”
per renderla consistente, credibile.
Infantile, immenso è il bisogno di sicurezza).

Nella stessa città ci sono anziane,
non sposate, che hanno avuto la vita
sognata dai loro padri: che pretendevano,
quando partivano per un viaggio in auto, che le figlie
si affacciassero alla finestra a salutare.
Errore fatale di tutti i familiari: credevano
che fosse un saluto filiale, invece era proprio
un saluto d’amore.

Ci sono pittori che vengono dalla provincia
e pagano cifre alte, mille euro a settimana,
per esporre in gallerie periferiche,
su vie non frequentate,
sicuri di non vendere niente, solo per dire
di avere esposto a Milano.

E tutti – si può dire tutti? – hanno
un punto inavvicinabile, intrattabile,
si manifesta come attaccamento a persona,
a cosa, abitudine o forma, è il punto
più difeso, è il coperchio dell’angoscia di morte,
si dimentichi di poter far qualcosa, o intervenire,
o modificarlo.

(Il fascino irresistibile di una vita
che è passata esattamente attraverso i luoghi comuni,
fino alla prevedibile banalità dei contenuti,
il fascino del risaputo, del facile,
non è forse quello dell’incarnazione di un mito?)

*Da LA FORMA DELLA VITA, Cesare Viviani (EINAUDI POESIA)