In un paesino dell’Argentina, talmente piccolo che non servono i telefoni per comunicare dato che tutti abitano vicini, l’ex calciatore Fermin Perlassi e sua moglie decidono di dar vita a una cooperativa agricola, coinvolgendo un gruppo di amici, alcuni improbabili, e riuscendo a raccogliere un bel gruzzoletto per comprare una struttura e cominciare la propria attività.
Ma i soldi non bastano e allora il protagonsta si rivolge a una banca per chiedere un prestito. Il direttore gli consiglia prima di versare la somma racimolata in un conto, così da poter dimostrare di avere le garanzie necessarie. Sembrerebbe andare tutto nella norma almeno finché il giorno successivo si scopre che la banca è fallita, e con lei sono andati perduti anche tutti i risparmi. È infatti scoppiata la crisi che colpì l’Argentina proprio a partire dal 2001.
Oltre alla perdita economica se ne aggiunge un’altra per il protagonista, che finisce per chiudersi in se stesso. Una soffiata però dona a lui e agli altri truffati la speranza di riprendersi quello che è loro. Così da persone perbene, abituate ad agire secondo la legge, Fermin e il suo gruppo si trasformano in “rapinatori” improvvisati, con tutti gli imprevisti del caso.
“Criminali come noi” è una commedia che si divide più o meno in due parti, nella prima vengono presentati i personaggi e si respira un’aria di speranza, mostrando la voglia di realizzare qualcosa insieme da parte di un gruppo di persone ormai di una certa età, ma che decidono di mettersi in gioco e ricominciare. La seconda, successiva alla scoperta di essere stati truffati, si concentra sulle varie fasi della preparazione del colpo. In entrambi i casi, forse per i troppi personaggi presentati, il film si dilunga un po’ troppo. Inoltre, la parte comica risulta poco bilanciata rispetto a quella drammatica, che pure avrebbe potuto giocare un ruolo un po’ più importante trattandosi di un film che racconta le difficoltà che milioni di argentini dovettero affrontare realmente circa vent’anni fa.
La crisi, che colpì a inizio del nuovo millennio il Paese sudamericano, ebbe infatti gravi conseguenze, che sfociarono in proteste popolari, e colpirono la vita di chiunque, a partire dai più giovani, molti dei quali dovettero abbandonare gli studi per cercare un lavoro e dare un aiuto economico alle proprie famiglie. Questo aspetto viene rappresentato dal figlio del protagonista che decide di ritornare al paese e aiutare il padre, rivestendo un ruolo decisivo nella sua scelta di riprendere in mano la propria vita e cercare di ripartire un’altra volta senza perdere la speranza.
Il film diretto dal Sebastián Borensztein decide di raccontare le conseguenze di un periodo buio in maniera ironica, ottendo un prodotto leggero, che si lascia guardare ma che sente il peso di una durata eccessiva e dell’insistenza su siparietti comici, che talvolta potevano essere ridimensionati a favore di un maggior approfondimento dei personaggi. Tutto questo porta a partecipare alle vicende dei protagonisti con una certa curiosità per le peripezie che si trovano a dover affrontare, ma senza troppo coinvolgimento da un punto di vista emotivo.