Il conte Raffaele, forse a causa dell’ambiente militare in cui era sempre vissuto, sentiva più forte il vincolo di casta e di classe, e non avrebbe voluto che i suoi figli e le sue nipoti si mescolassero con i figli delle servitù, nemmeno nei giochi; l’avvocato Alfonso, invece, si atteggiava a democratico, ed era riuscito a convincere il fratello e la cognata a lasciare che i ragazzi di casa giocassero tutti insieme, nel cortile più grande e negli altri spazi comuni. Certe divisioni, – gli aveva detto, – sono odiose per se stesse, e sono anche un segno di debolezza. Chi è sicuro di sé e della sua classe sociale deve comportarsi come si comportavano i nobili dell’antica Roma, che mandavano i loro figli a giocare per strada insieme ai monelli, perché gli si rafforzasse il carattere… Anche i Grandi di Spagna, quando ancora la Spagna dominava il mondo, facevano lo stesso! Poi i ragazzi crescevano e il nobile tornava a vivere coi suoi pari, ma non era più quel giovane ingenuo che si sarebbe potuto credere, perché, oltre ai soliti precettori, aveva avuto una maestra di cui nessuno, nella vita, può fare a meno: la strada! Soltanto le aristocrazia decadenti, Raffaele, sentono il bisogno di isolarsi, per evitare il contatto con il popolo…
L’avvocato Alfonso Pignatelli parlava spesso dell’aristocrazia, del suo avvenire, del suo ruolo nella società; ma, di fatto, si comportava e viveva come si comportavano e vivevano, nelle città di fronte alle montagne, i nuovi padroni delle fornaci, degli empori, dei cantieri e delle industrie tessili, che erano quasi tutti suoi clienti e amici, e che di lì a qualche anno lo avrebbero mandato nella capitale, per rappresentare i loro interessi al Parlamento del regno. Anche il suo aspetto e il suo modo di vestire erano quelli di un borghese di provincia. Portava, infatti, i capelli a zazzera lunghi fin quasi sulle spalle, e certi gilè sotto la marsina, verdi e rossi o viola e gialli, che facevano rabbrividire, in tribunale, i suoi colleghi vestiti di grigio… Raffaele, invece, era molto più tradizionalista. Quando parlava di politica e di progresso con il fratello avvocato, continuava a tormentarsi con le dita le punte dei baffi e cercava di non contraddirlo apertamente, gli diceva: Sì, Alfonso, hai ragione tu, ma bisogna stare attenti, bisogna distinguere… Il progresso scientifico e anche quello tecnico sono due cose bellissime, che serviranno a ridurre le differenze sociali: senza la macchina a vapore, l’America non avrebbe mai abolito la schiavitù, su questo non ci son dubbi! E anche l’aspirazione del popolo al benessere è certamente legittima, finché rimane dentro le leggi e dentro l’ordine costituito…
Perché vedi, Alfonso: una cosa sono gli ideali astratti, di uguaglianza e di giustizia per tutti gli uomini, su cui, almeno in un certo senso, non si può che essere d’accordo; e un’altra cosa è la politica reale, dove tutti mirano al proprio interesse e dove tutto è lecito, come in guerra, pur di costringere l’avversario ad arrendersi. Si sentono certi discorsi, al giorno d’oggi, e si leggono certe cose nei giornali e nei libri, che fanno venire la pelle d’oca: la proprietà è un furto, il trono e l’altare sono due ostacoli sulla via del progresso, e devono essere tolti di mezzo…. Dove andremo a finire?
L’avvocato Alfonso rideva di cuore: Senti, senti… Si passava il fazzoletto sulla fronte che aveva sempre un po’ sudata. Rispondeva: Non andremo a finire da nessuna parte! Andremo avanti, perché così vuole il nostro destino di uomini civilizzati, e non ci sono chiacchiere che possano fermalo.
Scuoteva la testa continuando a sorridere. Bisogna liberarsi di queste paure… Ma davvero, disse una volta al fratello, anche tu credi a ciò che affermano i ciarlatani, che i poveri vogliono abolire la proprietà privata? I poveri, Raffaele, darebbero l’anima e la vita per averla, la proprietà privata; e noi dobbiamo incoraggiarli in questa loro aspirazione, che ce li rende alleati. Sissignore: il loro vero, unico sogno è quello di diventare ricchi… Non lasciamoci spaventare dai sogni! La politica non è l’argomento di far andare avanti le cose reali, come credono gli ingenui: perché le cose reali vanno avanti da sole. La politica è l’arte di dirigere i sogni degli uomini, come si dirige un’orchestra.
Alzò le braccia e fece il gesto di impugnare con la mano destra una bacchetta invisibile. Indicò qualcosa alla sua sinistra. Ecco, li vedi? Laggiù ci sono i sogni tempestosi, di nazione e di rivoluzione… Sono le trombe e i tromboni della nostra politica, e sono anche le percussioni: le grancasse, i tamburi, i piatti. Dalla parte opposta ci sono i sogni gravi e solenni di una società immutabile, basata sul privilegio di pochi e sull’obbedienza di molti. Corrispondono, tra gli strumenti musicali, ai grandi strumenti a aria, come gli organi. In mezzo a sinistra abbiamo i sogni di progresso graduale: i clarinetti, gli oboe, le zampogne… Infine, qui al centro, ci sono i sogni di chi è abbastanza contento della sua situazione, e non è disposto a correre avventure per seguire chi gliene promette una migliore. Questi, fortunatamente, sono i sogni dei più, e ci permettono di vivere senza troppe scosse in un paese quieto e prevedibile com’è, in fondo, il nostro. Corrispondono agli strumenti a corda di un’orchestra: ai violini, alle chitarre, alle viole, ai contrabbassi, ai mandolini, alle arpe…