Le mangiate di pesce e la passeggiata al molo. Gli strafalcioni di Catarella e le anagrafiche di Fazio. Le litigate con Livia e l’invadenza di Ingrid. La verandina, le carte da firmare e il muro di gomma a Montelusa.
Al lettore seriale, fa piacere ritrovare tutto al suo posto, quando torna a visitare un personaggio conosciuto e in questi due romanzi non può fare a meno di trovarsi a suo agio, con le poche varianti dovute all’età di Montalbano che avanza.
Camilleri mette in mostra la consueta abilità a costruire storie non banali popolate di personaggi tratteggiati con cura: dei due titoli, forse il secondo è il più debole per colpa di uno scioglimento un po’ tirato per i capelli, ma è da apprezzare il tentativo di costruire un’indagine riducendo al minimo i morti ammazzati.
Ovviamente, anche l’ambientazione e la lingua non mutano. Lo sfondo è regalato da una Sicilia sonnacchiosa e distratta, in cui la mafia fa parte della società senza particolari attriti e contro cui il commissario può togliersi soddisfazioni molto parziali, mentre il narrato è il ben conosciuto impasto di italiano e dialetto che alla lunga finisce un po’ per stancare, confermando di essere, almeno per me, uno dei pochi aspetti negativi del ciclo dedicato a Montalbano.