All’improvviso pensai che, volendo, potevo partire anche io per l’America. Era la prima volta che mi si presentava un’occasione così. Mi chiesi: ma ci vuoi andare? Non c’era risposta. I miei pensieri vagavano, verso il mare, verso l’altra riva dove, con un’ultima occhiata, avevo visto i grattacieli svanire in un barbaglio di neve. Di nuovo li vidi incombere, spettrali, come quando partii. Vedevo le luci filtrare di tra le costole. Vidi tutta la città distesa da Harlem alla Battery, le strade formicolanti, la corsa della sopraelevata, i teatri che si vuotano. Mi chiesi, ma vagamente, cosa n’era di mia moglie.
E dopo che tutto mi fu passato tranquillamente di capo, provai una gran pace. Qui, dove il fiume serpeggia dolce per la cintura delle colline, sta una terra così satura di passato che per quanto si dilunghi la memoria non si riesce mai a distaccarla dal suo sfondo umano. Cristo, dinanzi ai miei occhi luccicava una tale aurea pace che solamente un pazzo poteva pensare di volgere il capo. Così quieta scorre la Senna che quasi non ti accorgi della sua presenza. È sempre lì, tranquilla e discreta, come una grande arteria che scorre nel corpo dell’uomo. Nella quiete meravigliosa che calava su di me, mi parve d’aver scalato la vetta di un’alta montagna; per un poco potevo guardarmi attorno, cogliere il significato del paesaggio.
Le creature umane formano una strana fauna, una strana flora. Da lontano paiono trascurabili; da vicino possono sembrare brutte e cattive. Ma soprattutto occorre che abbiano intorno aria, spazio sufficiente – spazio, anche più che tempo.
Il sole tramonta. Sempre questo fiume che scorre dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fan dolce corona: il suo corso è stabilito.