Dal momento in cui in una casa dalla basse grondaie
Un dottore della cittadina tagliò il cordone ombelicale
E nei frutteti si moltiplicavano le acetose e i chenopodi,
Nidi per le pere punteggiate di bianca muffa,
Ero ormai nelle mani degli uomini. Avrebbero infatti
potuto soffocare
Il mio primo grido, premere con la loro grande mano
La gola indifesa che gli faceva tenerezza.
Da loro ho ricevuto i nomi degli uccelli e dei frutti,
Ho abitato nel loro paese, né troppo selvaggio,
Né troppo coltivato, con un parato, un campo arabile
E l’acqua sul fondo della barca, nel folto dietro
la falegnameria.
Le loro lezioni in verità hanno trovato un limite
In me stesso, e la mia volontà era oscura,
Poco docile ai miei o ai loro propositi.
Altri, che non conoscevo o solo di nome,
Camminavano in me e io, atterrito,
Sentivo dentro camere scricchiolanti
Dove non si guarda per il buco della serratura.
Non significavano nulla per me Kazimierz né Hrehory
Emilia o Margareta.
Ma dovevo ripetere io stesso ogni loro macchia
E ogni loro infermità. Ciò mi umiliava.
Tanto che avrei gridato: siete voi i responsabili,
E’ colpa vostra se non posso diventare chi voglio,
ma solo me stesso.
Il sole cadeva nel mio libro sul peccato originale.
E a volte, quando il pomeriggio ronzava nell’erba,
Li immaginavo entrambi, con la mia colpa,
Che schiacciavano una vespa sotto il melo del paradiso.
-1957-