Per definire meglio la «dimensione d’esilio» in Petrarca, che non è mai stato un esule, come è ben noto, va prima chiarita la sua nozione di patria, non essendo riscontrabile, in lui, una tensione dialettica tra la patria-mondo degli stoici, o la patria celeste degli autori cristiani, e la «piccola patria» d’origine o di appartenenza.
L’Italia, che è la sola patria da lui rivendicata, è in realtà l’Italia altra di cui forgia il mito (allo specchio della Roma antica), opponendolo violentemente al suo presente degradato. Così pure per quanto riguarda l’attività politico-diplomatica, in cui si impegna (segnatamente presso i Visconti) ma senza mai identificarsi a una parte né a una patria: salvaguardando sempre lo spazio di libertà e l’autonomia di movimento negli ambiti che sono solo e intimamente suoi.
Petrarca supera di fatto i concetti medievali di esilio/bando, da un lato, la loro controparte universalistica, dall’altro, colla rivendicazione di un diritto individuale di fuga che però pratica non nello spazio ma nel tempo: in un auto-esilio che, per l’intellettuale moderno di cui elabora e impone la figura, è tanto un diritto quanto un obbligo morale.
*FONTE: Enrico Fenzi, http://arzana.revues.org/232
*IMMAGINE. Babylon di Ursula Stock