Poi, d’improvviso, mio marito mi ha detto, tendendomi la rivista che stava sfogliando: Guarda. Vediamo se sei osservatrice. Dimmi a che cosa ti fa pensare quest’illustrazione.
Era la pubblicità a colori di una marca di sigarette. Vi si vedeva una famiglia di quattro persone, un padre, una madre e i due figli, una femmina e un maschio. Il padre rassomigliava molto a mio marito, la donna a me e i due figli ai miei due bambini. Stessi atteggiamenti, stesse espressioni, e, per quanto questo possa sembrare incredibile, stesse fisionomie. Con poche differenze, anche i nostri vestiti e l’ambiente erano gli stessi. Infine, particolare crudele, mio marito ed io stavamo fumando sigarette della stessissima marca di quelle cui l’illustrazione faceva la pubblicità. Non so che mi è successo, in quel momento. (…)
Così si è insinuata per la prima volta nella mia mente l’idea che la mia vita, qualunque cosa facessi, non sarebbe mai stata che un’imitazione.(…)
Da quel giorno vivo con quest’ossessione che la mia vita non sia reale ma sia invece l’imitazione di cose che non mi riguardano e con cui non ho rapporti. Poiché continuo a voler bene a mio marito, non voglio tenergli nascosta la mia preoccupazione e ogni tanto ritorno sull’argomento. Gli dico per esempio: Che credi di essere in questo momento? Credi di essere l’architetto giovane e brillante che con la sua cara moglietta al fianco, giuda l’automobile sull’autostrada per Fregene? No, caro, alza un momento gli occhi, guarda a quel cartellone pubblicitario della marca della nostra auto. In realtà stai imitando in tutto e per tutto l’immagine di quel cartellone.
Lui risponde con il buon senso un po’ ottuso che gli è proprio: Che me ne importa? Il mio scopo è di arrivare al più presto al mare e di godermi un po’ di risposo lontano dalla città.
Insisto: Al mare, sì, come nella reclame dei luoghi balneari.
Che me ne importa? Il mio scopo è respirare la balsamica aria marina, godermi la vista sorridente e serena del mare, udire il fragore esaltante delle onde, sentire sulla mia pelle il calore benefico del sole, la frescura inebriante della brezza. Non dirai che queste sensazioni sono delle imitazioni.
Povero caro, lo sono, sì. Sono imitazioni in quanto le parole che adoperi per descriverle sono esattamente le stesse che si possono leggere in qualsiasi manifesto di pubblicità turistica.
Ma vai al diavolo, te e la tua ossessione.
A questo punto mio marito si calma e dice: Finché si scherza si scherza. Ma ti sembra sostenibile che la nostra vita sia un’imitazione della pubblicità industriale? Tutta la nostra vita? Per caso non ti lasci andare a una generalizzazione eccessiva e pericolosa?
Rispondo prontamente: Chi ti ha detto che noi imitiamo la pubblicità industriale? Noi imitiamo la pubblicità soltanto quelle volte, non tanto frequenti in realtà, in cui la pubblicità c’è. Ma il resto del tempo noi imitiamo non già i cartelloni della pubblicità ma bensì l’idea che si fanno della vita coloro che fabbricano i prodotti che noi adoperiamo. Quest’idea è costituita dalla totalità dei prodotti, dal nostro rapporto con questi prodotti e dagli effetti su di noi di questo rapporto. Ammetterai che ben poco o meglio nulla sfugge alla fine al fatto imitativo che mi ossessiona.
Se nulla sfugge, tanto vale non pensarci. È come se tu dicessi: voglio sottrarmi alle leggi della natura: non mangiare, non bere, non dormire, non amare, non nascere, non morire e così via.
Ma questa imitazione non è un fatto naturale. È appunto perché dipende in fondo da noi di perpetuarla o meno, che io mi ribello. Alla natura non ci si ribella o per lo meno non nel modo con il quale ci si ribella a noi stessi. Perché questo è il punto: dipende da noi di rifiutare l’imitazione.
E in che modo?
Mi metto a ridere e scuoto il capo: Non è facile. Questa volta ho pensato, come si dice, di evadere. Ho sognato per esempio che partivamo per gli antipodi. Mi sono vista, in pantaloni corti e camicia coloniale, su una spiaggia deserta di… mettiamo: l’isola di Pasqua. Tutti quesi testoni misteriosi e un po’ sinistri di pietra grigia e porosa sparsi sui pendii pelati; e io, piccola e strana tra quei testoni. Ma quello stesso giorno sono andata al cinema e che ti vedo? Un documentario sull’isola di Pasqua nel quale una donna che mi rassomigliava molto, vestita anche lei in pantaloni corti e camicia coloniale, si aggirava tra i testoni. Non è facile. Per ora non ho trovato che un modo.
Quale?
Lo sai. Gli ipnotici, i sedativi, i tranquillanti. Dormire, dormire, dormire.
Dormire, eh. Ma eccoti là, alza a tua volta gli occhi, guarda, eccoti là, in quel cartellone con la pubblicità di un sonnifero, eccoti là, in un letto ben rincalzato, la testa che spunta appena dalle coltri, sei tu, non lo vedi, sei proprio tu, eccoti là.