Ora, dopo la seconda guerra mondiale, era venuta la democrazia… ITALO CALVINO (da : La speculazione edilizia)

Ora, dopo la seconda guerra mondiale, era venuta la democrazia, ossia l’andare ai bagni l’estate d’intere cittadine. Una parte d’Italia, dopo un incerto quinquennio o giù di lì, ora aveva il benessere, un benessere sacrosantamente basato sulla produzione industriale, ma pur sempre difforme e disorganico data l’economia nazionale squilibrata e contraddittoria nella distribuzione geografica del reddito e sperperatrice nelle spese generali e nei consumi ; però, insomma, sempre era benessere, e chi ce l’aveva poteva dirsi contento. Quelli che più potevano dirsi contenti ( e non si dicevano tali, credendo fosse loro dovuto molto di più, che invece o non meritavano o non era né possibile né giusto che avessero) dai centri industriali del Nord tendevano a gravitare sulla Riviera e particolarmente su **.

Erano proprietari di piccole industrie indipendenti (se alimentari o tessili) o sub-fornitrici d’altre più grandi (se chimiche o meccaniche), dirigenti aziendali, direttori di banca, capiservizio amministrativi cointeressati agli utili, titolari di rappresentanze commerciali, operatori di borsa, professionisti affermati, proprietari di cinema, negozianti, esercenti, tutto un ceto intermedio tra i detentori dei grossi pacchetti azionari ed i semplici impiegati e tecnici, un ceto cresciuto al punto di costituire nelle grandi città delle vere e proprie masse, la gente insomma che poteva acquistare in contanti o ratealmente un alloggio al mare (oppure affittarlo per stagioni o annate intere, ma questo era meno conveniente) e anche che aveva voglia di farlo, aspirando a vacanze relativamente sedentarie (non per esempio a grandi viaggi o cose estrose) che poi con la macchina si potevano movimentare vertiginosamente, perché in un salto si poteva andare a prendere l’aperitivo in Francia. Oramai a ** i ricchissimi venivano solo di passata, in corsa tra un Casinò e l’altro, e nello stesso modo veloce ci venivano gli operai delle grandi industrie, in lambretta a ferragosto, con le mogli in pantaloni cariche dello zaino sul sedile posteriore, a fare il bagno stipati nelle esigue strisce di spiaggia, ripartendo poi per pernottare nelle pensioni più economiche d’altre località della costa. Più a lungo si fermava l’esercito sterminato delle dattilografe e impiegate contabili in shorts che occupava le pensioni locali con dietro il codazzo della gioventù studiosa o ragioniera, gloria dei dancings.

Ma questo era solo per lo stretto tempo delle ferie : la colonia stabile di ** era costituita da quel ceto medio-borghese che s’è detto, abitatore d’agiati appartamenti nelle proprie città e che qui tale e quale riproduceva (un pò più in piccolo ; si sa, si è al mare) gli stessi appartamenti negli stessi enormi isolati residenziali e la stessa vita automobilistico-urbana. In questi appartamenti nei mesi freddi venivano a svernare i vecchi : genitori, nonni, suoceri, che prendevano il sole di mezzogiorno sulle passeggiate a mare come già quarantanni prima i granduchi russi tisici e i milord. (…)

Era una folta Italia in tailleur, in doppiopetto, l’Italia ben vestita e ben carrozzata, la meglio vestita popolazione d’Europa, quale contrasto per le vie di ** con le comitive goffe e antiestetiche dei tedeschi inglesi svizzeri olandesi o belgi in vacanza collettiva, donne e uomini di variegata bruttezza, con certe braghe al ginocchio, coi calzini nei sandali o con le scarpe sui piedi nudi, certe vesti stampate a fiori, certa biancheria che sporge, certa carne bianca e rossa, sorda al buongusto e all’armonia anche nel cambiar colore. Queste falangi straniere che, avide di bagni fuori stagione, prenotavano alberghi interi succedendosi in turni serrati da aprile a ottobre (ma meno in luglio e agosto, quando gli albergatori non concedono sconti alle comitive) erano viste dagli indigeni con una sfumatura di compatimento, al contrario di come una volta si guardava il forestiere, messaggero di mondi più ricchi e civilmente provveduti. Eppure, a incrinare la facile alterigia dell’italiano ben messo, disinvolto, lustro, esteriormente aggiornato sull’America, affiorava il senso severo delle democrazie del Nord, il sospetto che in quelle ineleganti vacanze si muovesse qualcosa di più solido, di meno provvisorio, civiltà abituate a concludere di più, il sospetto che ogni nostra ostentazione di prosperità non fosse che una facile vernice sull’Italia dei tuguri montani e suburbani, dei treni d’emigranti, delle pullulanti piazze di paesi nero vestiti : sospetti fugacissimi, che conviene scacciare in meno d’un secondo.

A Quinto tutti questi sentimenti insieme, ed un tardivo culto della rustica fierezza delle generazioni antiche ( che la memoria del padre da poco morto, vecchio da poter essergli stato nonno, tipico superstite di quel ceppo, gli avvicinava) rendeva vieppiù estranea la ** d’oggi. Ma al solito volendo contrastare se stesso (in una scherma dove oramai non si sapeva più che cosa di lui fosse autentico e cosa coartato) si persuadeva che proprio la nuova borghesia degli alloggetti a ** fosse la migliore che l’Italia potesse esprimere.

Intruppato in questa folla civile, realizzatrice, adultera, soddisfatta, cordiale, filistea, familiare, bemportante, ingurgitante gelati, tutti in calzoncini e maglietta, donne uomini bambini giovinetti nell’assoluta parità delle età e dei sessi, in questo fiume pingue e superficiale sull’accidentata realtà italiana, Quinto si disponeva a passare l’estate a ***.

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