da SENZA TITOLO
XVIII
Di indifferenza
Solo un po’ di chiarore in noi si mescola
e l’oscurità già la esaurisce.
Siamo di indifferenza e rovine…
ma questo uccello, l’uccello di Lumerpa,
che un giorno risplendé con tanta forza,
da incenerire anche la propria ombra!
–
LI
Oroscopo
Crepuscolo… Cimitero… E vento aguzzo come
schegge d’ossa sul ceppo del macellaio.
La ruggine scrolla il suo modello dalla forma dello scricchiolio.
E sopra tutto questo e sopra il pianto della vergogna
la stella è quasi risoluta a confessare perché mai
noi si capisca la semplicità solo quando ci scoppia il cuore,
a un tratto inermi, abbandonati e ormai senza destino…
*
da IN PROGRESSO
Sul marciapiede
C’è una vecchia strillona di quotidiani,
che giornalmente viene sin qui zoppicando…
Quando, sfinita e ingombrante, depone
il suo pacco di “Edizioni straordinarie”,
vi si siede sopra e poi si addormenta…
Coloro che passano da queste parti
le si sono a tal punto abituati, da non vederla…
e lei, arcana e muta come una versiera,
invisibile rende ciò che dovrebbe offrire.
Comincia a piovere…
–
Sì, la conosci
Conosci la raffica alticcia del vortice
transnotturno e translineare, che a un tratto
impietrisce e si sfoga sul guardiano dei pazzi?
Una parola, di cui non sa la frase scritta sulla finestra sudata,
si impiglia nella terra dei Linguaggi,
la musica interrotta ormai non sbarbica
il pene dal buco serpentino dei sensi,
il diesis del conciatetti ha cessato di dondolare a sfacelo,
il moto delle pietre si è strozzato
nel sopore del sole contiguo,
le fonti hanno smesso di wordsworthare,
i bambini si sono ammazzati tra le cosce di Ofelia
e la storia ha perduto memoria
delle glandole velenose del suo cominciamento.
Immobilità! Immobilità assoluta!
Ma immobilità possibile soltanto
perché dal lato interno della porta
di qualche gabinetto di villaggio
avanza un onisco,
oppure perché un topo in una chiesa
sotto un genuflessorio sta mangiando
moccolo umano.
–
I segnali
L’arte cominciò con la caduta degli angeli…
Il tempo dei capecchi, dei fastelli di concime, dell’àcoro pestato,
della cenere non arsa e delle lingue infrante dalla panna,
il tempo che si rade i peli sulle cosce d’una meretrice:
alleggerisce solo in apparenza.
Ma il tempo dei sassi, della matrigna che pettina e dello zoppicare dei cani,
il tempo che tossisce negli scantinati,
il tempo del becchino che, scavando la terra,
è come se volesse giungere a una più autentica vita,
il tempo delle vertebre cervicali nel salto
sopra il fuoco di San Giovanni,
il tempo che esige tutto il nostro soccorso:
hai sempre ancora un peso esiguo.
L’arte cominciò con la caduta degli angeli.
Ma anch’essi bevvero vino, sprezzarono il pane
e dormirono con femmine mortali –
e per questo, inebriati, cerchiamo di nuovo i segnali
come su un tavolo intaccato dal coltello di Orfeo…
–
La ballerina
Sei l’unica realtà che può mutare i suoni, senza
rinnegare la concezione e la stirpe… E forse proprio per questo
non ho potuto compararti
a un quadro, a un fiore, ad una fiamma o al vento. E forse
proprio per questo ho avuto sempre compassione
dei tuoi belli pazienti piedi scalzi,
sporcati dalla polvere delle assi. E forse proprio per questo
sei per me umanamente terrestre ed a fatica dunque lavora il tuo respiro
dal ventre ai seni, che sono superstiziosi
come due tempeste nella notte di San Giovanni.
Lavori senza laghi… ma la musica strilla e vuol bere
e striscia con allettante imbrunire di mosse
almeno verso il tuo sudore, mentre io,
che non posso mentire, mi accorgo senza alcun merito
che tutti i tuoi luoghi da baciare sono proprio soltanto sul tuo corpo.
Ma tu li getti nel vuoto, perché non hai
più bisogno di nulla, nemmeno di te stessa…
–
Ti ha chiesto…
Una ragazza ti ha chiesto: che cosa è poesia?
Volevi dirle: Già il fatto che esisti, ah sì, che tu esisti,
e che nel tremore e stupore,
che sono testimonianza del miracolo,
soffrendo mi ingelosisco della tua piena bellezza,
e che non posso baciarti e con te non mi posso giacere,
e che non ho nulla, e colui che è sprovvisto di doni
è costretto a cantare…
ma non glielo hai detto, hai taciuto
e lei non ha udito quel canto…
–
La voce umana
La pietra e la stella non ci impongono la loro musica,
i fiori sono sommessi, e le cose sin troppo reticenti,
la bestia rinnega in se stessa per causa nostra
l’armonia di innocenza e di mistero,
il vento ha sempre il pudore d’un semplice segno
e che cosa sia il canto, lo sanno soltanto gli uccelli ammutiti,
a cui gettasti alla vigilia di Natale un covone non trebbiato.
Si contentano d’essere, e ciò è inesprimibile. Ma noi,
noi abbiamo paura, e non solo nelle tenebre,
ma anche nella prolifera luce
non ci accorgiamo del prossimo
e inorriditi, tanto da prorompere in furiosi esorcismi,
urliamo: “Sei qui? Parla!”
–
Il lascito
Ciò che qui lasciano i poeti
reca sempre l’offesa del tempo, dei peccati, dell’esilio.
Il più verace di loro,
il più sconosciuto, il più sommesso, quello che più ama
non vi si impone con nulla: né con la parabola,
né col disprezzo né col conforto e tanto meno con l’amore…
presente, egli è già assente… E Picasso,
costruendo un pupazzo di neve, ben comprese
che l’immortalità dell’arte
è nel tempo, nei peccati, nell’esilio,
che bisogna redimere col sole
sino alle lacrime, alla fonte, al fiume, al mare, al nulla…
–
La madre
hai visto talvolta la tua vecchia madre
nell’istante in cui ti rifà il letto,
rimbocca, distende, appiana e carezza il lenzuolo
perché non vi sia nemmeno una sola grinza che prema?
Il suo fiato e il gesto della sua mano e del palmo
sono tanto amorevoli,
che in quanto passati continuano a spegnere un incendio a Persepoli
e come presenti hanno già placato una futura tempesta
nel mare cinese o in un altro sinora sconosciuto…
*
da TRIALOGO
Visione
Quest’angolo, che al propri isolamento
ha già da tempo presagito il deserto,
possiede ancora alcuni alberi e sugli alberi un paio di cinciallegre
gridanti: prun’in culo, prun’in culo, prun’in culo!
Gridano ciò ad una stanca o indolente creatura,
che passa laggiù con un libro nella mano
e che, almanaccando ad un tempo che cosa
ci sarà oggi per cena, borbotta:
“Non è così che pensavo, non è così che sentivo,
questo non l’ho mai detto!”
Socrate intento a leggere Platone…
*
da IL DOLORE
L’alba
È l’attimo in cui il prete va alla messa
lungo il groppone del diavolo.
È l’attimo in cui la pesante valigia dell’alba
scambia la nostra spina dorsale per una cerniera lampo.
È l’attimo in cui gela ed il sole non splende,
ma la pietra sepolcrale è calda,
perché si muove.
È l’attimo in cui il lago ghiaccia dalle sponde,
ma l’uomo dal cuore.
È l’attimo in cui i sogni non sono nient’altro
che punture di pulci sulla pelle di Marsia.
È l’attimo in cui gli alberi feriti da una cerva
aspettano che essa lambisca la piaga.
È l’attimo in cui la vagina dell’orologio
raccoglie le schegge di parole a ore.
È l’attimo in cui solo qualche amore s’arrischia
a scendere nella grotta stalattitica di quelle lacrime,
che furono segretamente represse e segretamente operarono.
È l’attimo in cui devi scrivere una lirica
e dire questo in essa in altro modo, in tutt’altro modo…
–
La neve
la neve cominciò a cadere a mezzanotte. Ed è vero
che si sta meglio in cucina,
anche se fosse la cucina dell’insonnia.
V’è caldo, ti cuoci qualcosa, bevi del vino
e guardi dalla finestra l’intima eternità.
Perché dovresti affliggerti se nascita e morte siano solo dei punti,
sapendo che l’esistenza non è una retta.
Perché dovresti tormentarti guardando il calendario
e preoccuparti quanto vi sia in giuoco.
E perché confessare a te stesso che non hai denaro
per le scarpette di Saskia.
E perché poi vantarti
di soffrir più degli altri.
Anche se sulla terra non vi fosse il silenzio,
questo nevicare lo ha già sognato. Sei solo.
Quanto meno gesti. Nulla da mettere in mostra.
–
E dunque?
Non sono mai andato a cavallo, e non sono
perciò mai passato di sella da un cavallo ad un asino,
io sempre a piedi… Eppure voi dite:
sii spontaneo!
Essere spontanei!… Sì! Ma la parola
non vuole smuoversi dalla ricerca dello spirito,
che è tuttavia onnipresente, la parola
non vuole smuoversi, non vuole smuoversi,
salvo che per la follia…
–
Tra
tra l’idea e la parola
è più di quanto noi siamo capaci di intendere.
Vi sono idee, per cui non vi sono parole.
Un pensiero perduto negli occhi dell’unicorno
appare di nuovo nella risata d’un cane…
–
Addio
Di nuovo soffia la burrasca dal cielo nuvoloso della sorte.
La coscienza, che si sente fiacca, stupisce
che ogni cosa corporea sia sossopra.
Chi danza con un ferraiuolo di ali di nottole?
Chi è ammutolito al fracasso di ciò che ha intravisto?
L’acqua del pozzo adesca il giovane, l’uomo cerca la fonte.
Tutto ciò è già lontano. Vi sono parole
di cui non si deve discorrere.
Non potrai mai adempiere la promessa data.
Il teschio ha sognato i tuoi occhi.
*
da IN PUNTO DI MORTE
Amaramente
Da tempo non ci vai
poiché non c’è bisogno di provare
se il cancelletto cigola ancora,
non occorre vedere
se hanno già abbattuto quel bel carpine
né rivedere il muro tutto grinze
dove disegna vene l’edera senza cuore –
e poi non serve entrare nella casa abbandonata
che un tempo aveva la cantina e il tetto
colmi di risa…
per l’amara, convinta nozione che sei vivo
non c’è bisogno dei morti…
*da UNA NOTTE CON AMLETO – UNA NOTTE CON OFELIA (Einaudi – Traduzione di Angelo Maria ed Ela Ripellino)