Questa era un’altra delle leggi fondamentali dell’arte, ultima in ordine di applicazione ma prima dal punto di vista logico e ontologico: non potersi considerare ultimato e inverato il puzzle se non dopo il suo scioglimento, e precisarsi: il suo immediato scioglimento; e scendere per corollario: andare ogni istante di indugio, dopo la posa dell’ultimo pezzo, a detrimento del senso e quindi del valore dell’intera esecuzione, come cosa che avrebbe potuto metterne in dubbio l assoluta gratuità. Sulla coscienza di tale gratuità, pezzo dopo pezzo, si fonda il piacere e l’orgoglio dell’adepto, che in questa assenza di scopo purifica il proprio animo alleggerendolo del carco di durezze che nascendo sortiamo. Per questo si dovrebbe intraprendere un puzzle non per passare del tempo – che rimarrebbe comunque una forma di interesse e di giustificazione ab externo – ma solo per amore di tale cimento di se stesso, così come non sa cosa sia la lettura chi apre un libro per altro che non sia il puro piacere di leggere. E dunque codesta verità imparai da mia madre: che il momento più idoneo ad incominciare un nuovo puzzle è quando siamo oberati di impegni, nell’urgenza affannosa delle cose serie, delle cose sode: quale trionfo sul mondo, allora, dedicarsi a quella scientifica dilapidazione del tempo! Ma appunto perché l’inutilità sia perfetta occorre che l’operasi dissolva nel momento stesso in cui si completa e completandosi si reifica: certo chi ne differisce la distruzione lo fa per contemplare ancora un po’ il risultato: ma per quanto la contemplazione possa illudere del contrario, essa non è mai disinteressata. Noi infatti sappiamo che la vista del ricomposto dipinto, lungi dal rimanere un’esperienza neutra, inocula nell’esecutore l’impura idea di aver agito a quel fine – la contemplazione, appunto – e non per la devozione al bello-inutile-metodico di cui si sta qui discorrendo. Eppure – anche di ciò mia madre mi avvertì per ambagi – esistono persone che contemplato un puzzle lo lasciano così per giorni e giorni sul tavolo, alla mercé visiva loro e di chiunque altro. E persone ancora più depravate che non lo disfanno mai, e che per questo incollano tutti i pezzi su un cartone o una tavola di legno sottile. E persone, infine, che arrivano al punto di appendere a una parete quella cosa tremenda, quell’aberrazione che è un puzzle incollato.
Sì, l’ortodossia del puzzle era minacciata da quelle oscenità….