RIPORTO DI SEGUITO ALCUNI ESTRATTI DEL BREVE ‘CAPITOLO’ CHE il Marchese de Sade DEDICA ALLA RELIGIONE, ALL’INTERNO DEL SUO LIBRO ‘La Filosofia nel boudoir’, AL LEGAME DEL POTERE RELIGIOSO COL POTERE STATALE, E QUINDI AL LORO CONSEGUENTE RUOLO DI CULTI CREATI PER SOTTOMETTERE I POPOLI.
ATTRAVERSO QUESTO PICCOLO CAPITOLO L’AUTORE VUOLE DIMOSTRARE COME, PER LIBERARSI DEFINITIVAMENTE DA UNA MONARCHIA, O DA UN QUALSIASI POTERE DISPOTICO CHE FACCIA IL MALE DEL POPOLO, SENZA CORRERE IL RISCHIO CHE VENGA SOLO SOSTITUITO E NON DEBELLATO, SIA PRIMA DI TUTTO NECESSARIO LIBERARSI DALL’IDEA DI ‘RELIGIONE’.
Io vengo a offrire grandi idee: le si ascolterà, le si mediterà, se non tutte piaceranno, almeno ne resterà qualcuna e io avrò contribuito in qualcosa al progresso dei lumi e ne sarò contento. Non lo nascondo affatto, è con sofferenza che vedo la lentezza con cui ci sforziamo di arrivare allo scopo, è con inquietudine che sento che stiamo per mancarlo ancora una volta. Si crede forse che questo scopo sarà raggiunto quando ci saranno state date delle leggi? Non illudiamoci. (…)
In un secolo in cui siamo tanto convinti che la religione debba poggiare sulla morale e non la morale sulla religione, ci vuole una religione che guardi ai costumi, che ne sia come lo sviluppo, come il seguito necessario, e che possa, elevando l’anima, tenerla perpetuamente all’altezza di quella libertà preziosa di cui oggi essa fa il suo unico idolo. (…)
Non dimentichiamo che questa puerile religione era una delle armi migliori nelle mani dei nostri tiranni: uno dei suoi primi dogmi era di ‘rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare’; ma noi abbiamo detronizzato Cesare e non vogliamo più dovergli nulla. (…)
ci sono vizi di Stato da cui non ci si corregge mai. In meno di dieci anni, per mezzo della religione cristiana, della sua superstizione, dei suoi pregiudizi, i vostri preti, malgrado il loro giuramento, malgrado la loro povertà, riprenderebbero sulle anime il potere che avevano occupato con la forza, vi incatenerebbero di nuovo a dei re, perché la potenza degli uni è sempre stata quella degli altri (…)
Pensate che, poiché il frutto del vostro lavoro non è riservato che ai vostri nipoti, fa parte del vostro dovere, della vostra probità, di non lasciar loro nessuno dei germi pericolosi che potrebbero farli ripiombare nel caos da cui noi siamo usciti con tanta difficoltà. Già i nostri pregiudizi si dissolvono, già il popolo abiura le assurdità cattoliche, ha già soppresso i templi, ha abbattuto gli idoli, ha convenuto che il matrimonio non è più che un atto civile, i confessionali demoliti servono a riscaldare le sale pubbliche, i pretesi fedeli, disertando il banchetto apostolico, lasciano gli dèi di farina ai topi. Francesi, non fermatevi: l’Europa intera, una mano già sulla benda che abbacina i suoi occhi, attende da voi lo sforzo che deve strapparla dalla sua fronte (…)
Francesi, ve lo ripeto, l’Europa attende da voi di essere a un tempo liberata dallo scettro e dall’incensiere. Pensate che vi è impossibile affrancarla dalla tirannia reale senza farle nello stesso tempo rompere i freni della superstizione religiosa: i lacci dell’una sono troppo intimamente uniti a quelli dell’altra perché lasciandone sussistere una parte non ricadiate ben presto sotto il dominio di quella che avrete trascurato di dissolvere. Non è più ai piedi di un essere immaginario né a quelli di un vile impostore che un repubblicano deve piegarsi: i suoi unici dèi devono essere ora il coraggio e la libertà. (…)
Se crediamo necessario un culto, imitiamo quello dei romani: le azioni, le passioni, gli eroi, ecco oggetti degni di rispetto. Siffatti idoli elevavano l’anima, la elettrizzavano, meglio ancora, le comunicavano le virtù dell’essere venerato. L’adoratore di Minerva voleva essere prudente. Il coraggio era nel cuore di chi veniva visto ai piedi di Marte. Non un solo dio di questi grandi uomini era privo di energia, tutti trasmettevano il fuoco di cui erano essi stessi infiammati nell’anima di chi li venerava e, nella speranza di essere a propria volta adorati un giorno, si aspirava a diventare grandi almeno come colui che si prendeva a modello. (…)
Ci siamo liberati da quel fantasma e l’ateismo è attualmente il solo sistema di tutti coloro che sanno ragionare. (…)
Che l’estinzione totale dei culti entri dunque nei principi che noi diffondiamo nell’Europa intera. Non contentiamoci di spezzare gli scettri, polverizziamo per sempre gli idoli: non c’è mai stato che un passo tra la superstizione e il realismo. [Seguite la storia di tutti i popoli: non li vedrete mai cambiare il governo che hanno per un governo monarchico se non a causa dell’abbrutimento in cui la superstizione li tiene; vedrete sempre i re puntellare la religione e la religione consacrare dei re. E nota la storia dell’intendente e del cuciniere: ” Passatemi il pepe che io vi passerò il burro “. Umanità infelice, sarai tu sempre destinata ad assomigliare al padrone di quei due bricconi?] Senza dubbio bisogna bene che sia così, dato che uno dei primi articoli della consacrazione dei re era sempre la conservazione della religione dominante, come una delle basi politiche che dovevano meglio sostenere il loro trono. (…)
Non basterà amare per essere degni di questa corona, bisognerà aver anche meritato di esserlo: l’eroismo, i talenti, l’umanità, la grandezza d’animo, un civismo a tutta prova, ecco i titoli che ai piedi della sua signora sarà costretto a esibire l’amante e questi titoli varranno bene a quelli della nascita e della ricchezza che uno sciocco orgoglio esigeva una volta. Da questo culto almeno sbocceranno delle virtù, mentre non nascono che delitti da quello che abbiamo avuto la debolezza di professare. Questo culto si alleerà con la libertà che noi serviamo, la animerà, la nutrirà, la infiammerà, mentre il teismo è per sua essenza e per sua natura il più mortale nemico della libertà che noi serviamo. (…)
Rimpiazzate le sciocchezze deifiche, con cui eravate soliti affaticare i giovani organi dei vostri fanciulli, con eccellenti principi sociali; che invece di imparare a recitare futili preghiere che si faranno un merito di dimenticare non appena avranno sedici anni, essi siano istruiti sui loro doveri nella società; insegnate loro ad amare le virtù di cui a mala pena vi sentivano parlare un tempo e che, senza le vostre fole religiose, bastano a fare la loro felicità individuale; fate sentir loro che questa felicità consiste nel render gli altri così fortunati come noi stessi desideriamo esserlo. Se voi appoggerete queste verità sulle chimere cristiane, come avevate la follia di fare in passato, i vostri allievi una volta riconosciuta la futilità delle basi, faranno crollare l’edificio e diventeranno scellerati proprio perché crederanno che la religione da loro abbattuta glielo vietava. Al contrario, facendo sentir loro la necessità della virtù unicamente perché da essa dipende la loro personale felicità, essi saranno onesti per egoismo e quella legge fondamentale degli uomini sarà sempre la più sicura di tutte. (…)
L’ignoranza e la paura, direte loro ancora, ecco le due basi di tutte le religioni. L’incertezza in cui l’uomo si trova in rapporto al suo Dio è precisamente il motivo che lo tiene attaccato alla sua religione. (…)
Ritornate poi sull’utilità della morale: offrite loro su questo grande soggetto più esempi che lezioni, più prove che libri e ne farete dei buoni cittadini, buoni guerrieri, buoni padri, buoni sposi; ne farete uomini tanto più attaccati alla libertà del loro paese quanto meno alcuna idea di servitù si presenterà più al loro spirito, alcun terrore religioso verrà a turbare la loro mente. (…)
Non ci venga il dubbio che le religioni non siano la culla del dispotismo; il primo di tutti i despoti fu un prete, il primo re e il primo imperatore di Roma, Numa e Augusto, sono associati l’uno e l’altro al sacerdozio, Costantino e Clodoveo furono più degli abati che dei sovrani, Eliogabalo fu sacerdote del Sole. In tutti i tempi, in tutti i secoli, ci fu sempre tra dispotismo e religione una tale connessione che è più che dimostrato come distruggendone uno occorra abbattere l’altra, per la grande ragione che il primo servirà sempre da legge alla seconda. (…)
in una parola, che non è né la speranza frivola di un mondo migliore né il timore di mali più grandi di quelli che ci manda la natura, a dover guidare un repubblicano, la cui sola regola è la virtù, il cui unico freno è il rimorso.
* Tratto da: La Filosofia nel boudoir – Marchese de Sade
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