RIFLESSIONI SUI TEMPI PRESENTI – Mario Soldati

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Perché è sciocco, certo, ed è ridicolo predicare senz’altro l’eccellenza di tutto ciò che è antico o passato, e disprezzare per sistema il nuovo e il presente.
Ma bisogna anche guardarsi dall’errore opposto : dal credere, cioè, che una decadenza, un avvilimento da noi osservato e sofferto nella vita e nei costumi di oggi, sia soltanto un effetto ottico dei nostri cinquanta o sessanta anni, sia soltanto un riflesso malinconico, un risentimento, un rancore della nostra vita che avanza precipitosa verso il suo fine. Per carità ! Credersi vecchi, e amare meno il mondo non perché sia peggiore, ma semplicemente perché non è più quello di una volta : ecco la sola, vera, colpevole vecchiezza.
Chi, al contrario, con freddo ragionamento, e con oggettiva analisi della realtà che lo attornia, constati il progressivo decadere dei costumi e di una civiltà, e vi paragoni, e vi anteponga un’epoca passata, e lo dichiari alto e forte, e illumini così in qualche modo a una rinascita anche se lontana, ebbene costui è giovane, non vecchio.
Giovane perché crede anche oggi nel valore oggettivo ed eterno di certi aspetti umani, che lo avevano riempito di gioia e di pace quand’egli era bambino.
Giovane perché a cinquant’anni crede che la via di una città era veramente, oggettivamente, per se stessa, bella in quanto deserta e tranquilla, e non come proiezione, nel rimpianto, di se medesimo bambino.
Giovane perché anche a cinquant’anni crede che la via di una città, oggi, sia veramente, oggettivamente, per se stessa, brutta in quanto affollata e tumultuosa e non come rancore di se stesso anziano verso un mondo che abbia progredito.
Giovane perché anche a cinquant’anni non crede nel miglioramento necessario continuo e fatale di tutte le cose, non crede nelle magnifiche sorti e progressive ; ma crede in un avvicendarsi, per la cultura e la civiltà, di periodi gloriosi e periodi vili.
Periodi vili, sì, epoche basse, secoli in cui, sia pure temporaneamente, una Nazione, un popolo, una razza, sembra declinare per stanchezza ; e il compito di chi è rimasto giovane e forte è proprio quello di lamentarsi, di denunciare coraggiosamente tale stanchezza, di lodare il passato, di sperare nell’avvenire e di affrettarlo.
Perché, senza dubbio alcuno, verrà un giorno (auguriamoci per i nostri figli, o almeno per i nostri nipoti, che non sia troppo lontano), verrà un giorno che le strade e le città torneranno per artificio e per decisione volontaria dei popoli quelle di una volta : le automobili e i motori saranno banditi dai centri urbani, anzi non saranno più necessari, e i bambini potranno di nuovo andare a scuola come è bene che ci vadano, con la cartella a tracolla, a piedi, l’occhio sereno e fidente nelle prospettive dritte di strade tranquille e giustamente popolose, ossia quasi deserte.
E dentro la cartella, ai piccoli della prima, catechismo, sillabario, un quaderno, niente più.

*MARIO SOLDATI – DA:  I figli a scuola, La Messa Dei villeggianti