Riporto di seguito un’estratto dal ‘L’Idiota’ di Fedor Dostoevskij.
Impressionante come nel romanzo, la cui prima edizione è datata 1869, si parli di una società affannata umilmente, docilmente, alla continua ricerca di una felicità, che fa rima con denaro, ma che è in realtà sinonimo solo di una vita infelice ed inutile.
Interessante il riferimento alla famiglia dei Rothschild come massima ricchezza esemplare e dominatrice di un sistema di allora.
Ancora oggi è a questa famiglia che le varie teorie, dette ‘complottiste’ – teorie in realtà sempre più spesso confermate, se non comunque più probabili delle vere verità che ci vengono dette.. -, adducono le cause del male globalmente pianificato di oggi.
Buona lettura!!!
Non capivo, per esempio, come della gente così piena di vita non sapesse arricchire.
Conoscevo un povero di cui mi dissero poi che era morto di fame, e mi ricordo che questo mi fece uscire dai gangheri: se fosse stato possibile resuscitare quel povero, mi sembra che lo avrei condannato a morte. A volte mi sentivo meglio per settimane e potevo uscire, ma la via finì con l’esasperarmi talmente, che per intere giornate me ne stavo rinchiuso apposta, pur potendo andar fuori come tutti. Ero incapace di sopportare tutta quella gente che mi formicolava intorno sui marciapiedi andando su e giù, sempre affannata e affaccendata, sempre tetra e inquieta. A che quell’eterno malumore, quell’eterno affannarsi e trepidare, quell’eterna cupa cattiveria? (perché son cattivi gli uomini, cattivi, cattivi!) Chi ha colpa, se essi sono infelici e non sanno vivere, pur avendo davanti sessant’anni di vita? (…)
E ciascuno mostra i suoi cenci e le sue mani callose, e va in collera e grida: ‘Noi lavoriamo come buoi, noi fatichiamo, e siamo poveri e amati come cani! Altri non lavorano e non faticano, e sono ricchi!’ (Eterno ritornello!). Accanto a loro corre e si affanna dalla mattina alla sera , quel disgraziato omunculo ‘di buona famiglia’, che abita nella nostra casa, sopra di noi, sempre coi gomiti laceri, con parecchi bottoni mancanti, facendo il galoppino per una quantità di gente, sbrigando incarichi per qualcuno, e per di più dalla mattina alla sera. Discorrete un po’ con lui: ‘Sono povero, misero e meschino, la moglie mi è morta, non c’era di che comprare le medicine, e quest’inverno mi han lasciato gelare il bambino; la figlia maggiore è andata a fare la mantenuta…’; geme sempre, piagnucola sempre! Oh, io non ho mai sentito nessuna pietà per questi imbecilli, nessuna, né ora né prima d’ora: lo dico con orgoglio. E perché costui non ha dei milioni come un Rothschild? Di chi la colpa, se non ha dei milioni come un Rothschild, se non ha montagne di imperiali e napoleoni d’oro, una montagna tale, una montagna così alta come quelle che ci sono a carnevale fra i baracconi? Se vive, tutto è in suo potere! Di chi la colpa, se non lo capisce?
Oh, ormai tutto mi è indifferente, adesso non ho più tempo di andare in collera, ma allora, allora lo ripeto, la notte rodevo letteralmente il mio guanciale e strappavo la mia coperta dalla rabbia. Oh, come sognavo, allora, come desideravo con tutte le mie forze che, appena diciottenne, malvestito, coperto di cenci, mi cacciassero sulla strada e mi lasciassero solo, senza tetto, senza lavoro, senza un pezzo di pane, senza parenti, senza un sol conoscente nell’immensa città, affamato, maltrattato (tanto meglio!), ma sano, e allora avrei fatto vedere io…
Chi dunque non mi crederà un omunculo ignaro della vita, dimenticando che io non ho più diciotto anni, dimenticando che vivere come ho vissuto in questi sei mesi significa fare i capelli bianchi? Ma ridano pure e dicano che queste sono tutte fiabe. Infatti io mi raccontavo delle fiabe, ne riempivo le mie notti dal principio alla fine, ed ora me le ricordo tutte.
*foto: Street-Art @Montpellier, di jacopo Guarino
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