Sono anni che viaggio solo. (Pier Vittorio Tondelli, L’ABBANDONO)

Sono anni che viaggio solo.
(Pier Vittorio Tondelli, L’ABBANDONO)

Conosco l’infinita pena del viaggiatore solitario che in un qualunque scompartimento di un treno deve chiamare il controllore per andare alla toilette e non lasciare i bagagli incustoditi; conosco la seccatura un po’ umiliante del dover pranzare da solo in un ristorante sotto gli occhi irritati di squallide coppiette che, in fila, ti guardano come se fosse un loro dovere avere il tuo tavolo, di cui sei soltanto uno sfigato usurpatore; conosco la fatica fisica, gli imbarazzi, i dubbi di chi viaggia solo con se stesso.

Conosco la stupidità delle ‘camere singole’ in cui i letti sono piccolissimi, i lavabi minimi e i soffitti bassi, come se ogni viaggiatore solitario fosse un nano e non una persona come le altre, con braccia, gambe e bisogno di spazio. Conosco la scortesia e il tono pietoso degli altri compagni di viaggio quando ti si rivolgono con quel garbo ipocrita che si riserva a un vedovo, a una persona che ha perso la propria metà.

Ma io conosco anche l’immensa completezza di questa mia solitudine, le orecchie attente, gli occhi sempre presenti, la concentrazione, le illuminazioni interiori quando non hai nessuno all’infuori di te da mettere al corrente di una scoperta, e allora, seduto su una pietra di una qualsiasi isola greca, chiedendoti perché quel sole debba essere così forte e quel mare così azzurro e la terra così nera, ti guardi dentro, e dentro puoi rivedere i soli, le mareggiate, le burrasche e gli approdi della tua vita.

Fin quando avrò fiato in gola e forza nelle gambe, e le mie braccia riusciranno a trascinare un sacco, difenderò questo mio diritto di essere solo – uno come tanti- nella mia completezza.

 Nei viaggi solitari esiste una pienezza diversa di sé.

La possibilità di vivere in territori neutri, in mezzo a persone che abitualmente parlano una lingua diversa, il fatto di adattarsi a un’architettura e a un paesaggio stranieri, producono uno spiazzamento delle nostre certezze e, se si è veramente onesti e sinceri, permettono di scoprire chi si è.

In sostanza, tutti i viaggi che si fanno solo sono la figura di quell’altro viaggio all’interno di noi stessi che inizia nel momento in cui nasciamo e finisce quando Dio vorrà. Non c’è viaggio più avvincente che ognuno può fare alla scoperta di sé.

E ci sono, naturalmente, molti modi per fare questo viaggio. Amare una persona, per esempio. Vivere insieme a lei. Essere abbandonati da quella stessa persona, come è accaduto a Helmut dopo otto anni. Oppure ritirarsi in un deserto e abbracciare l’esperienza mistica.

Per quelli come Helmut e me, troppo amanti del mondo per abbandonarlo, troppo scorticati dall’amore per cercarne un altro, c’è una sola strada: la scoperta della solitudine.

*testo:  da ‘L’abbandono’ di Pier Vittorio Tondelli