Sotto il giardino
IX
Non ricorderai niente.
Il cane Igor, cremina per il sole,
e quando ti diverti a fare il vento
e soffi e ridi. Sei nella tua preistoria
di silenzi e di gridi,
di brucianti scoperte: sole, fuoco,
e sirene di treni, gallerie.
Dopo verrà la lingua,
le cose avranno nomi e forse meno
intensità, meno splendore. E la memoria
ti costruirà barriere coralline, stelle fisse
nel tempo. Ma adesso non c’è distanza,
non c’è vuoto.
*
Arte delle fuga
Resisti a tutto, fuggi. Fallo in nome
di niente. Lascia i nomi
ai nuovi costruttori di bandiere.
Dai, topolino: è ora.
Guarda: questo è un bosco, e questa
una lattina di carne. Questo è un fiume.
Dal ponte vedi una città bianchissima,
una polla di sangue raggrumato. E gli anni,
gli anni sui loro cavalli neri. La città
è fatta di calce e gesso, di silenzio.
Il passo è qui, la fuga un’altra strada.
*
Da una costa
VIII
Di quelli che guardano il mare
ne arrivano ogni giorno. Gente in fuga.
Spesso rimangono in auto,
schiudono a malapena un finestrino.
Qualcuno invece scende,
fuma adagio appoggiato alla ringhiera.
Mezz’ora, un’ora. Dipende. Poi ripartono
scuotendo con cura la sabbia dai vestiti. Eppure resta sempre qualche traccia
nei luoghi più impensati: sotto il bavero,
dietro le orecchie, a volte sulle palpebre.
Più tardi, a certi capita
di non sapere dove sono andati,
né tantomeno perché.
Da LE COSE SENZA STORIA (1994)
***
Il poeta nel proprio luogo natio
Eccoci ancora alle tue strade petrose
di fumo e crudeltà, nostro non luogo,
non nome, non memoria: percorriamo
di te ogni infamia, e tutto è come prima,
vetro dov’era sasso, nuovi emblemi
e miserie, ma identica
l’ombra che assale. Ciao Alessandro
dico a uno che passa e conosco;
ma sbaglio, si chiama Maurizio;
e poi un altro mi ferma, mi grida
di andar via che è un paese di morti.
Ma era qui il mondo, in un retrobottega
o tra i vicoli, l’effluvio
di orina e soldi, legname. Sui binari
si mettevano sogni e monetine
di rame perché il treno li schiacciasse.
*
A quelli che verrano
Allora voi, che volgerete
lo sguardo verso di noi dalle vette
dei vostri tempi splendidi, come chi scruta una valle
che non ricorda neppure di avere percorsa:
non ci vedrete, dietro lo schermo di nebbie.
Ma eravamo qui, a custodire la voce.
Non ogni giorno e non in ogni ora
del giorno; qualche volta, soltanto,
quando sembrava possibile
raccogliere un po’ di forza.
Ci chiudevamo la porta
dietro le spalle, abbandonando
le nostre case sontuose
e riprendevamo il cammino, senza meta.
*
Bozzetti per scagliola
VI
L’orecchio che ascolta non vede la voce che parla
nella notte, perduta, ma attende il brusio
dell’aria, attraverso le strade
che forse qualcuno percorre.
La voce che parla non cerca nessun ascolto,
eppure spera che il suo soliloquio non sia vano,
che un uscio l’accolga in silenzio,
offra una luce, un ramo di forsizia.
Da PIETRA SANGUE (1999)
***
6 Poesie di FABIO PUSTERLA ( da LE TERRE EMERSE, Poesie scelte 1985 – 2008)