Quaderno azzurro, mi congedo da te. Per tanto tempo. E forse per sempre. È la notte del tredici marzo millenovecentotrentanove… Sono un Arthur Rimbaud, che non è diventato tale. Sono un Arthur Rimbaud, che ha avuto un diverso coraggio…
*
Se fossi in grado di costringermi a una qualsiasi cosa, tutto sarebbe diverso e diventerei d’un tratto “un uomo a posto”, “uno perbene, allineato col suo tempo”, diventerei semplicemente uno di quelli che hanno negato la vanità per non averla capita.
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Danessunluogo
1.
Danessunluogo è il paradiso,
la beata trasparenza,
dove nessuno è brutto,
dove nessuno è bello,
il dolcissimo nulla,
l’eterno lieve spirare,
la grande porta alla luce
che tu non potrai guardare.
Eppure nella mia vita
turbina in me qualcosa,
che un giorno imputridirà,
che il vento disperderà
e io, io cambiato,
io, domandare appagato,
vado dove non sono più giorni,
dove volvono eterne ruote.
2.
Povero soldato nel buio
con occhi meravigliati,
giacente sopra la terra
che come un fucile lo serra.
Da dovunque (danessunluogo?)
dalla vita vulnerata
zampilla il suo pudore,
il suo rosso dolore.
È la terra che fa sangue
e lui di sangue la feconda,
simile ad un amante
che la gloria riempia di sé,
gloria di tutti i morti,
loro gloria viva,
sensibile come odorato,
come canto sia cantato.
3.
Chi il petto ci guarirà,
chi il brutto renderà bello,
chi annullerà la Bilancia
per la frenetica danza,
da dovunque, danessunluogo,
fino al segnale della fine,
fino alla nostra quiete eterna
nella luce senza lucerna?
Domandalo alla madre.
Domandalo all’acqua di gelo,
che rapida scorre,
che rapida corre,
nei suoi gorghi a turbinare
e al pane li va a portare.
Domandalo alla tua inquieta
attesa – e al poeta.
*
Di chi sono?
Io sono dei piovaschi e delle siepi
e delle erbe chinate dalla pioggia
e della chiara canzone che non gorgheggia,
del desiderio che sta chiuso in lei.
Di chi sono?
Io sono di ogni piccola cosa smussata
che mai spigoli ha conosciuto,
dei piccoli animali che reclinano la testa,
sono della nuvola quando è straziata.
Di chi sono?
Io sono del timore che mi ha tenuto
con le sue trasparenti dita,
del coniglietto che in un giardino in penombra
esercita il suo fiuto.
Di chi sono?
Io sono dell’inverno ostile ai frutti
e della morta, se il tempo lo chieda,
io sono dell’amore, di cui sbaglio la porta,
al posto di una mela ai ermi lasciato in preda.
*
…Desidero V., vorrei vederla e dolorosamente sognare il suo contatto. Questo sogno, questo sogno è per quanto si può prevedere irrealizzabile quasi come il tuo sogno più grande che non sapevi nemmeno formulare. Considerati separato dalla felicità (che è una parola inesatta). Sono un buono a nulla. Sono un piccolo poeta. Lo sento in tutto il mio corpo. Ma un giorno, se ne avrò il tempo, scriverò la più grande poesia del mondo, perché ce l’ho dentro.
*
Eternamente
Si piega sulle ginocchia la notte,
si piega e non lo crede.
Nulla più mi trattiene alla vita,
di scatto taccio,
mentre le madri dei morti
sono pronte ad un’altra volta.
Pietà si deve avere
di tutti noi superstiti.
Sbagliare eternamente, dino ad essere puri.
Eternamente.
Si piega sulle ginocchia la notte.
Pregherai stasera, Desdemona?
*
L’albero e la pianura
Bell’albero, non fare più ombra,
non ti è ancora venuta a noia?
Lasciala andare, tu, calpestala!
Son fatti di pietra i tuoi rami?
E noi del tutto oramai lontani
dalla gioia?
Bella pianura, io non capisco,
da villaggi e da fiumi appartato,
tremo, mi abbatto, stormisco.
Ma il cuore del tronco schiantato
potrà mai dimenticare
la tristezza?
*
Non si tratta soltanto delle ragazze, si tratta di tutto il mio mondo, dell’amicizia, della solidarietà, o per esempio soltanto del bere in lieta compagnia, ma anche di tutto ciò che è vita in comune. Perché allora fuggo, se ho tanto desiderio di partecipazione? E perché mi sembra che tutto questo sia immutabile? Tu che un giorno tutto capirai con amore, sei stata già concepita nel corpo di tua madre?