DANTE IN LOVE – Giuseppe Conte (GIUNTI Editore)

DANTE IN LOVE è il Romanzo di Giuseppe Conte, uscito per GIUNTI nel 2021. Giuseppe Conte è un Poeta. Lo rimane anche quando non scrive poesia – qualsiasi cosa egli scriva è Poesia. E leggerlo è un piacere immenso, sempre.
Di seguito le prime 4 pagine del libro, che ci è piaciuto tantissimo e che vi consigliamo di leggere:

Ecco, ci sono, anche questa sera. Lasciami prendere il respiro. Devo essere conciato ben male. Il viaggio è lungo, da dove vengo io sino a qui.
Il sole è appena sceso dietro i tetti, le cupole, le torri della città. Come ogni volta. Il buio non è ancora fitto. Guarda, dilaga nell’aria tra le vie e le case come un’acqua cupa. Le ombre lunghe proiettate a terra da edifici e passanti svaniscono. Ma tutto ha preso il loro colore. Tutto è ombra. Ma compreso.
Mi ascolti? Questa è la mia ora e la mia stagione. È appena passato l’equinozio di primavera. Le ore di buio sono ancora in equilibrio con quelle di luce. è adesso, con l’arrivo del buio, che demoni, spiriti, fantasmi escono dal sonno e si mescolano agli umani. Si preparano a visitarne i sogni.
Ricordo che una volta a quest’ora si accendevano le torce dentro le mura della città. Gli uomini tornavano alla loro casa, o la rimpiangevano, se erano lontani, soli, esiliati. I marinai ne sentivano in cuore la mancanza appena uscivano dal porto, e avevano già davanti a sé tutta la solitudine del vento e delle onde. E ricordo anche che a quest’ora si accendevano le stelle in cielo, migliaia di stelle, fitte come fili d’erba in un campo.

Sono arrivato, sono solo. Come tutte le altre volte. Ora mi seggo qui ai piedi del Battistero. Questo edificio ottagonale rivestito di marmi bianchi e verdi… di Carrara, di Prato… è qui che mi fermo, come se fosse la mia casa. Ma io non ho casa, non ne ho più avuta da chissà quanto.
Mi sono accoccolato a terra, e spingo la testa verso l’alto, è inutile che guardi in su. A malapena si distingue la luna, in mezzo ai vapori e a nuvole che vanno e vengono. Venere, sta brillando soltanto Venere, la stella della sera, l’unica così vivida che si lascia afferrare dai miei occhi. Il cielo è spopolato, opaco.
Me ne sto qui, il Battistero, il Duomo, il Campanile mi circondano, svettano su di me. Mi proteggono. Se mi sdraio ai loro piedi, mi sembrano ancora più alti, come fatti di abeti, o di frassini, o di pioppi divenuti di pietra in un’era lontana.
Le luci artificiali cominciano ad accendersi, queste luci livide, senza corpo, che non so da dove arrivano, e vanno dappertutto… Io non mi ci sono mai abituato. Ho nostalgie delle torce, del fuoco. Lui vedi da dove nasce, e va immancabilmente verso l’alto, sprizza scintille intorno e ha un corpo di fiamme.
Ho nostalgia del fuoco, delle stelle. E di tante altre cose.

Oh, guarda, guarda chi arriva, che capelli biondi e ricci ha, come le ragazze che mi attiravano tanto, e attiravano anche il mio amico Guido, se è per quello. Che bel passo, mi sarà davanti tra un momento. Le farò un cenno di saluto, niente di troppo audace, un cenno e basta. Tanto non mi vedrà.
Mi piace che sia tornata qui intorno tanta gente. L’anno scorso deve essere successo qualcosa di orribile in questa città, o forse su tutta la terra, non ho capito cosa. Era come se una minaccia oscura, proveniente da chissà dove, pesasse nell’aria e la rendesse irrespirabile. Qui intorno non c’era nessuno. Le porte di quasi tutti i negozi erano sbarrate, le luci delle vetrine spente, sulla piazza erano planati dei gabbiani, macchie bianche tra la polvere dell’oscurità. Nessuno poteva entrare nel Duomo e nel Battistero. I pochissimi passanti avevano i volti nascosti, portavano pezzuole azzurre o bianche sulla faccia, e ognuno stava per conto proprio, come se avesse paura di avvicinarsi agli altri.una mascherata, avevo pensato, ma sinistra, un carnevale di morte.
Non è che mi vada bene la confusione, la ressa, la babele di lingue che ora è di nuovo intorno a me. No, è per loro, per le belle che sono in mezzo alla folla, per i loro lineamenti che posso di nuovo vedere, sono tante le belle, sono diverse, non finiscono di ferirmi.
La ragazza bionda e con i capelli ricci mi è davanti ora: le guardo le labbra, il punto in cui confluisce la bellezza di un volto, dove è più dolce e scuro il peso della carne. E poi gli occhi: loro non hanno carne, la loro forza di attrazione è immateriale, come i riflessi del sole sulla superficie dell’acqua. L’amore abita negli occhi, e passa attraverso gli occhi per arrivare al cuore, così scrivevano i miei amici ed io, un tempo.
Quelli che entrano in Duomo i sfilano davanti, li guardo, nessuno va per pregare o ascoltare la Messa, vanno per fare fotografie con quei piccoli apparecchi rettangolari che al buio emettono un bagliore istantaneo, che mi irrita se penso a quello ora scomparso delle lucciole e delle stelle.
Lasciano aperto il Battistero anche le prime ore della notte, per i visitatori. E ce ne sono di nuovo.

Ora una coppia guarda distrattamente la cupola del Battistero alzando gli occhi da un librino sbrindellato e riabbassandoli, ora lei fa una foto a lui, poi lui a lei, poi chiedono a una passante di riprenderli insieme con quello sfondo.
I due parlano una lingua che non conosco ma che sento da anni e anni risuonare più spesso qui intorno, sembrano essere qui come per un dovere, si capisce che non vedono l’ora di scappare verso altri luoghi meno gravati dalla storia, di tornare nella loro camera d’albergo a fare l’amore. Dio mio, come farebbero bene a tornarci.
Mi sfila davanti un gruppo, un fila disciplinata di uomini e donne, vecchi sopratutto, abiti che di anno in anno diventano tutti eguali: pantaloni che arrivano al ginocchio o peggio ancora al polpaccio, magliette con scritte cubitali per me incomprensibili, scarpe dalle spesse suole di gomma o sandali che avvolgono appena piedi fasciati di calze di lana.
Tutti hanno anche ora una pezzuola bianca sul volto, seguono come pecore matte la guida che tiene in mano col braccio teso in alto un ombrello giallo canarino. Hanno tutti stature basse, movimenti ordinati, devono arrivare da un Oriente di cui non sapevo nulla, e ora intuisco che è ricco e potente, e conserva il senso di un ordine che qui è perduto.
Li ho chiamati pecore matte, ma così non rendo giustizia alla loro disciplina… ci sono altre pecore matte più matte di loro che brucano e danno di corna qui intorno, urlano, ghignano, addentano i tranci di una focaccia che sola sugo rosso, intonano canzonacce.
Hanno dimenticato le notti deserte come quella che io ho vissuto l’anno passato, che sentivi soltanto le sirene delle auto della polizia o delle ambulanze, i caffè con le serrande chiuse e le vetrate piene di polvere, le luci spente ben prima di mezzanotte… non so che cos’era, ma qualunque cosa fosse l’hanno dimenticata.
Vivono come sanno, alla giornata, senza mai domandarsi niente, felici nel chiasso e nel non sapere. Così credo, anche se io non devo più giudicare nessuno, non ho più voglia né diritto di farlo. E dovrei giudicare soltanto me stesso.
Ora entrano, la fila si sgrana dentro il Battistero. Io non ci sono più voluto entrare. Mai. Me ne sto ai piedi dei suoi muri esterni. Più spesso, come ora, sto accosto a uno di quelli che danno sulla facciata del Duomo. Mi basta. Non entro perché ho ricordi che mi perseguitano ancora adesso. Lì ha influito sulla mia vita in maniera sinistra… Da lì, forse proprio da lì è cominciata la mia rovina.
Eppure, io amo San Giovanni. Il mio bel San Giovanni. È il luogo dove torno, dove resto tutte le ore della notte, non potrei farne a meno.

(…)

☟ ↓ Se l’inizio del libro ti ha incuriosito, leggilo tutto☟ ↓

.TRAMA:
Una storia di fantasmi che vede protagonista Dante Alighieri ai nostri giorni. Da seicentonovantanove anni, per una sola notte, il Padre eterno lo fa scendere dal Paradiso a Firenze per scontare il suo amore eccessivo per la poesia e per la bellezza terrena. Accoccolato ai piedi del “suo” Battistero, guarda lo spettacolo delle donne che passano e riprende il progetto di catalogare le sessanta più belle. Alla settecentesima notte Grace, una giovane studentessa straniera, per la prima volta gli dà l’impressione di avvertire la sua presenza. Così la segue in una esilarante sequenza di incontri e le racconta, come se potesse sentirlo, del suo amore per Beatrice e della sua esperienza segreta di Fedele d’Amore. La invita poi a compiere insieme un viaggio d’amore sul vascello magico mandato dal mago Merlino. Dopo che Grace ha baciato il ritratto del poeta, tutto cambia…
Tra una favola degli equivoci e il dramma di una città impaurita e deserta come al tempo della Peste nera, se Amore appare a Dante anche Dante appare a Conte, in un gioco di specchi deformanti e di rimandi. Uno dei più grandi poeti italiani di oggi ripercorre con mirabile leggerezza, illuminata da colti e mai pedanti riferimenti, il viaggio d’amore del sommo poeta dalla Vita Nova al “poema sacro”. Ma alla fine del libro il lettore non sa più chi, dei due poeti, è l’“aligero” che ha più parte in commedia.

——-> LEGGI ALTRO DI: Giuseppe Conte