Siamo tutti aggrappati allo stesso scoglio, non c’è altro posto in cui rifugiarsi. IAN MCEWAN (da SOLAR)

Il nostro pianeta, disse cogliendosi alla sprovvista, sta male.
Ci fu un mormorio, seguito da un sussurro di disapprovazione da parte del pubblico. I direttori dei fondi pensionistici avrebbero gradito toni più sfumati. Di fatto, però, utilizzare l’espressione “il pianeta sta male” offrì a Beard un sollievo istantaneo, impedendogli di dare personalmente di stomaco.
La cura del paziente si impone con urgenza, e avrà costi notevoli: intorno a qualcosa come il due per cento del Pil globale, una percentuale destinata a salire se non si agisce subito. Sono qui con l’intento di comunicarvi la mia convinzione che chiunque desideri collaborare alla terapia, entrando a far parte del progetto e investendo nell’iniziativa, ne trarrà profitti cospicui, strabilianti quantità di denaro. Si tratta di dare inizio a una nuova rivoluzione industriale. È la vostra grande occasione. Carbone e petrolio sono stati i fondamenti della nostra civiltà, hanno rappresentato risorse eccezionali emancipando centinaia di milioni di individui dalla schiavitù della sussistenza rurale. In soli duecento anni la liberazione dal logorio della fatica quotidiana unita alla innata curiosità dell’uomo ha prodotto la crescita esponenziale della nostra base di conoscenze. Il fenomeno ha avuto inizio in Europa e negli Stati Uniti, si è diffuso nell’arco della nostra vita ad alcune regioni dell’Asia e, di recente, ha coinvolto India, Cina e Sudamerica, escludendo per il momento il continente africano. Tutti gli altri problemi e i conflitti che ancora permangono tendono a oscurare una verità oggettiva: siamo assai poco consapevoli dell’immenso successo ottenuto.
Pertanto abbiamo il dovere di rendere merito della nostra capacità creativa. Siamo scimmie intelligentissime. Tuttavia, il motore della rivoluzione industriale ha potuto fin qui avvalersi di un’energia accessibile e a basso costo. Senza di essa, non saremmo arrivati da nessuna parte. È fantastico, se ci pensiamo. Un chilogrammo di benzina contiene grosso modo tredicimila wattore di energia. Risultati pressoché imbattibili. Eppure vogliamo cambiare. Con che cosa, dunque? Le migliori batterie elettriche di cui disponiamo possono immagazzinare circa trecento wattore di energia al chilogrammo. Sono queste le proporzioni del nostro problema: tredicimila contro appena trecento wattore al chilogrammo. Non c’è gara! Purtroppo, però, non possiamo permetterci il lusso di scegliere. Siamo costretti a sostituire rapidamente il consumo di benzina per tre ragioni inappellabili. La prima e la più semplice è che il petrolio finirà. Nessuno sa con esattezza quando, ma siamo tutti concordi nel sostenere che raggiungeremo il picco di produzione tra i prossimi cinque e quindici anni. Dopodiché, avrà inizio il declino, mentre la richiesta continuerà a crescere con l’aumento della popolazione mondiale e la ricerca di un migliore standard di vita. Secondo: molte zone produttrici di petrolio risultano politicamente instabili e noi non possiamo più accettare il rischio di alti livelli di dipendenza. Terzo, e fondamentale, la combustione di carburanti fossili, immettendo nell’atmosfera anidride carbonica e altri gas, produce un costante riscaldamento del pianeta di cui stiamo appena cominciando a comprendere le conseguenze. Ma il succo è chiaro. O rallentiamo e infine interrompiamo il consumo, o una catastrofe umana ed economica di enormi proporzioni si abbatterà sulla generazione dei nostri nipoti.
Il che ci conduce a una domanda cruciale, all’interrogativo scottante. Come possiamo diminuire e far cessare i nostri consumi continuando a sostenere la civiltà, sottraendo alla miseria milioni di individui? Non certo con comportamenti virtuosi, non certo differenziando lo smaltimento del vetro, abbassando il termostato in casa o acquistando un’auto più piccola. Tutto ciò può giusto rimandare il disastro di un paio di anni. Ogni proroga è utile, intendiamoci, ma non rappresenta la soluzione.
La faccenda coinvolge qualcosa che va al di là della sola virtù, perché la virtù è limitata, passiva. Può essere di incentivo per il singolo, ma quando si tratta di gruppi, di sistemi sociali, di una civiltà intera, allora è una forza insufficiente. Le nazioni non sono mai state virtuose, sebbene si possano a volte convincere del contrario. A livello di massa, l’avidità ha la meglio sulla virtù. Ecco perché dobbiamo integrare di buon grado nelle soluzioni al problema il nostro incontenibile impulso all’egoismo, oltre che festeggiare la novità, il brivido dell’inventiva, il piacere di ingegno e cooperazione, le soddisfazioni del profitto. Petrolio e carbone sono vettori energetici e, in teoria, lo è anche il denaro.perciò, la risposta a quell’interrogativo cruciale è ovviamente là dove il denaro, il vostro denaro, deve scorrere: in un’energia pulita e accessibile.
Provate a immaginare una situazione come la presente duecentocinquant’anni fa: mi troverei di fronte a un’accolita di gentiluomini di campagna e signore, a preannunciare l’arrivo della prima rivoluzione industriale, e a raccomandarvi di investire in carbone e ferro, macchine a vapore, cotonifici e, più tardi, in reti ferroviarie. Oppure, a distanza di un secolo, dopo l’invenzione del motore a combustione interna, prevedendo l’importanza crescente del petrolio, vi incoraggerei a investire in quel settore. E, altri cento anni dopo, in microprocessori, personal computer e internet, per tutte le opportunità che possono offrire. Ecco, signore e signori, noi ci troviamo a vivere un altro momento di quel genere. Non lasciatevi sedurre dall’illusione che l’economia mondiale e le borse finanziarie possano sussistere indipendentemente dall’ambiente naturale. Il nostro pianeta è un’entità finita. Disponete dei dati, avete facoltà di scegliere: il progetto umano deve essere alimentato in modo sicuro e pulito, o è destinato a fallire, andare a picco. Voi, vale a dire il mercato, potete dimostrarvi all’altezza e arricchirvi strada facendo, oppure affondare insieme al resto. Siamo tutti aggrappati allo stesso scoglio, non c’è altro posto in cui rifugiarsi…

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