IL GIRO DEL MONDO. Un racconto di Michele Mari (da FANTASMAGONIA)

Feci il giro del mondo, poi tornai da lui.
«Perché sono così?» gli dissi.
«Perché lo chiedi a me?»
Chiunque altro avrebbe chiesto «Così come?», non lui. L’ammirazione degli umani gli si posava sulle spalle come neve sulla cima di una montagna.
«Perché sei mio padre».
«Credi che io sia il responsabile della tua angoscia?»
«L’ho creduto sì, ma non ne sono più sicuro. Anzi questa stessa ipotesi mi procura un tale sovrappiù di angoscia che mi rifiuto di ammetterla. La persona che più ammiro al mondo non può avermi fatto una cosa simile».
«Che più ammiri, o che più ami?» disse, con una tale puntualità che non mi stupii nemmeno della trasparenza del mio pensiero.
«Nel tuo caso, non c’è differenza».
«Uhm…» bofonchiò poco convinto.
«No, davvero, guarda che io…» Ecco, nemmeno inadeguato: un perfetto deficiente.
Come per togliermi dall’imbarazzo si astrasse nelle sue vertigini. Sapevo esattamente come doveva sentirsi il Salaino quando parlava con Leonardo, in quella camera piena di modellini e di animali mummificati.
«Vieni qui», disse finalmente. Obbedii.
«Sai perché sei così?» continuò mentre la sua mano disegnava un dodecaedro su un foglio. «Perché ti vuoi fare del male. E sai perché? Perché sei figlio di tua madre. Io ti ho dato l’intelligenza e la forza, e te ne ho dato tanto, dell’una e dell’altra: ma lei ti ha dato la fragilità, e ti assicuro, ne è bastata pochissima».

Feci il giro del mondo e andai da lei. Quasi non la riconoscevo più, tanto era invecchiata.
«Perché sono così?» le dissi.
«Così come?»
«Così… perso… così agitato… palpito e angoscia, incubo e ossessione, nient’altro, perché, madre?»
«Ti ho amato troppo, forse… ma non c’è più quel bambino, è morto da chissà quanto tempo».
«No! È questo il punto, io ho ancora le stesse paure, sono ancora là, come il bambino del borotalco Roberts, in braccio alla balia fra quei fregi liberty».
Mi guardò come si guarda un intruso, poi assunse l’espressione che hanno gli ultracorpi nel film di Don Siegel e disse: «Perché non sei rimasto con me, allora? Perché hai voluto conoscere la donna? Prima eri angosciato ma non lo sapevi, è lei che per liberarti dall’angoscia te l’ha fatta vedere, e ti ci ha legato per sempre».

Feci il giro del mondo e andai dalla donna. Era ancora bellissima.
«Perché sono così?» le chiesi.
«Hai parlato con i tuoi genitori, vedo» disse con la precisione di chi mi conosce come nessuno. «Mi sono innamorata di te proprio perché eri così, e insieme perché volevo che tu non lo fossi più. Ho fallito perché tu ti amavi troppo, dolori compresi, e non mi hai lasciato fare il mio lavoro. Dunque rivolgile a te, certe domande».
«No, aspetta! Non c’è proprio nessuno che mi possa aiutare a capire? Non ti viene in mente nessuno?»
«Per quel che serve», disse alzando le spalle, «prova con nostro figlio».

Così feci il giro del mondo e andai dal figlio.
«Perché sono così?» gli dissi.
«È la mamma che ti manda?»
Tutti sembravano sapere già tutto, solo io non sapevo niente.
«No… cioè sì… senti, io non so se sono stato un buon padre, so solo che da quando sei nato alla mia angoscia si è aggiunta la colpa…»
«E hai fatto tutta questa strada per dirmi questo?»
«No, io speravo che tu avessi un’idea della mia vita, che mi aiutassi a vederla».
«I figli non capiscono mai niente dei genitori, è sempre stato così, e nessuno dovrebbe saperlo meglio di te».
«Ma tu, dimmi… sei felice, qualche volta?»
Mi guardò come gli avessi fatto una proposta oscena, poi piegò le labbra a un misterioso sorriso. E quella secondo lui doveva essere una specie di risposta.

E feci il giro del mondo, e tornai alla mia solitudine. E appena mi fermai, il mondo incominciò a girare intorno a me, sempre più veloce, finché fui prigioniero nel vortice, e capii che tutti i miei giri del mondo erano stati interni a quel gorgo, e che per quello la forza diventata in continuazione debolezza, per quello l’amore era la colpa e poi l’amore e poi, ancora, la colpa; e che era orribilmente giusto così.

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