“I Telefoni Cellulari” per PHILIP ROTH (da IL FANTASMA ESCE DI SCENA)

Quale fu la cosa che mi sorprese di più nei primi giorni dei miei giri per la città? La cosa più ovvia: i cellulari.
Sulla mia montagna era ancora impossibile ricevere le telefonate, e giù ad Athena, dove era possibile, di rado avevo visto della gente camminare per la strada parlando senza inibizioni al telefonino. Ricordavo una New York dove le uniche persone che camminavano per Broadway parlando da sole erano quelle fuori di testa. Cos’era successo in questi dieci anni perché tutt’a un tratto ci fossero tante cose da dire tante cose e così urgenti che non si poteva aspettare a dirle? Ovunque andassi, qualcuno mi veniva incontro parlando al telefono, e qualcuno mi seguiva parlando al telefono. Quando presi un taxi, l’autista era al telefono. Per uno che spesso passava molti giorni di seguito senza parlare con qualcuno, fui costretto a domandarmi cos’era crollato nella gente, di ciò che prima la teneva insieme, per rendere l’incessante chiacchiericcio telefonico preferibile a una passeggiata sotto la sorveglianza di nessuno, a un momento di solitudine che permetteva di assimilare le strade attraverso i propri sensi corporei e di pensare la miriade di pensieri che ispirano le attività di una città. Per me, faceva sembrare comiche le strade e ridicole le persone. Eppure sembrava anche un’autentica tragedia. Sradicare l’esperienza della separazione doveva avere inevitabilmente un effetto drammatico. Quali saranno le conseguenze? Tu sai che puoi raggiungere l’altra persona in ogni momento, e se non puoi diventi impaziente, impaziente e irritato come un piccolo, stupido dio. Sapevo bene che il silenzio di fondo era stato abolito da un pezzo dai ristoranti, negli ascensori e nei campi da baseball, ma l’immensa solitudine degli esseri umani dovesse produrre questo sconfinato desiderio di essere ascoltati, unito al disinteresse per chi ascolta le tue conversazioni… bè, essendo io vissuto largamente nell’era delle cabine telefoniche, le cui solide porte a fisarmonica poteva essere ermeticamente chiuse, rimasi colpito dalla cospicuità di tutto questo e mi sorpresi a nutrire l’idea di un racconto in cui Manhattan diventava una sinistra collettività dove tutti spiano tutti gli altri, tutti sono controllati dalla persona all’altro capo della linea, anche se, nel telefonarsi senza posa da ogni parte, all’aria aperta, chi telefona crede di godere della massima libertà. Sapevo che anche solo immaginando un simile canovaccio mi schieravo dalla parte di tutti gli eccentrici che avevano pensato, dalle origini dell’industrializzazione, che la macchina fosse il nemico della vita. Eppure, non potevo farne a meno: non vedevo come uno potesse credere di continuare a condurre un’esistenza umana parlando al telefono e insieme camminando per metà della sua vita diurna. No, quegli aggeggi non promettevano di essere particolarmente utili a promuovere la riflessione nella collettività.

*da IL FANTASMA ESCE DI SCENA

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