L’idea del cosiddetto libero movimento delle persone. VITALIANO TREVISAN
(da I QUINDICIMILA PASSI)
Il traffico, penso, è una continua piena, una serie di piene giornaliere, una serie di piene quotidiane; un flusso discontinuo di mezzi più o meno pesanti, ma sempre troppo pesanti, che trasportano uomini che trasportano cose e persone. Per trasportare un solo uomo, pensavo, sono necessarie tonnellate di materiale ferroso che devono spostare prima di tutto se stesse. Gigantesche masse vengono lanciate a spaventose velocità lungo le strade, con l’assurda convinzione che, simili masse, a simili velocità, possano davvero essere tenute sotto controllo. L’idea del cosiddetto libero movimento delle persone, pensavo camminando, insieme all’idea dell’altrettanto cosiddetto libero movimento delle merci, queste due idee, hanno dato luogo a impensabili distorsioni, hanno dato vita a queste piene che travolgono tutto, e tutto piegano e spezzano e spiaccicano. L’asfalto è pieno di sangue, penso, l’asfalto è un materiale contro natura, anzi contro la natura. Dovunque ci troviamo, pensavo, siamo circondati da un reticolo di strade asfaltate che portano in ogni dove. Strade che continuano ad allungarsi, passando sopra o sotto altre strade, boschi, valli e paesi e città, corsi d’acqua, sopra il mare, sotto il mare addirittura; strade che si allargano, da una a due corsie, poi tre, quattro con quella di emergenza, otto in tutto, tra un senso e l’altro. Un groviglio inestricabile di strade che portano dappertutto. Dal punto in cui mi trovo, se solo lo volessi con la necessaria determinazione, potrei, se lo volessi, decidere, in qualsiasi momento, di partire per un posto qualsiasi, per Parigi, per Berlino, per Amsterdam o Rotterdam o Brema, da qui, pensavo, da questo posto qualsiasi dove sono, potrei decidere anche adesso di partire per Amsterdam!; non dovrei fare altro che unire una serie di punti che corrispondono a incroci, confluenze divergenze, sovrapposizioni su un diverso piano spaziale, attraversamenti di diversa natura, salite e dunque, poi, discese, salite e discese, tangenti, rotatorie tangenti, secanti, archi, semicerchi e cerchi rotatori spiraleggianti e altro ancora, solo questo dovrei fare: individuare e unire tutti questi diversi punti, pensavo, poi semplicemente seguire la rotta senza in realtà mai lasciare la strada. È sempre la stessa strada, pensai a un tratto, ed era un pensiero spaventoso. È sempre la stessa strada, pensavo, non una strada collegata all’altra da un’altra strada, ma sempre la stessa strada, in ogni punto, a ogni passo, con qualsiasi mezzo, sempre e comunque la stessa strada, sempre più o meno lo stesso asfalto. È sempre la stessa strada, pensavo, di continuo percorsa in lungo e largo in tutti i sensi di marcia, da milioni di autoveicoli, da un posto all’altro per un posto per un altro, tutti sulla stessa strada, tutti, autoveicoli ed esseri umani, per la stessa strada che porta in tutti i posti, che in fondo, a guardar bene, è sempre lo stesso posto, ma questo è un problema di tutt’altra natura, pensai. Il vero problema è che sono sulla strada, sono su questo asfalto e sono costretto a camminare su questo asfalto, mentre l’asfalto andrebbe solo attraversato. Ma non ho scelta: se voglio camminare non mi resta che camminare su questo asfalto, non mi resta che tenermi stretto a questo bordo di strada pieno di sporcizia, pensavo. Solo dieci o quindici anni fa potevo almeno andare a camminare per i campi dei Dorio, al limite occidentale del bosco di roveri, e fermarmi a osservare gli uccelli che, in determinate stagioni dell’anno, in quella zona, dove c’era anche un laghetto, si fermavano a riposare. Ora non posso più andarci, pensavo, o meglio posso ancora andarci, ma solo per ritrovarmi circondato da capannoni artigianali e industriali affacciati su via del lavoro, via del progresso, via dell’artigianato, via dell’industria e quant’altro. Cosa pensare di tutto questo?, cosa pensare su tutto questo? Gli uccelli, penso ogni volta che passo per la zona artigianale, dove andranno ora gli uccelli?, di certo qui non si fermano più. Qui non più, dissi ad alta voce. Non più qui, pensai, non su questa terra devastata e calpestata e spezzettata a norma di legge, non su questa terra dove le ragioni di tutto sono ragioni prevalentemente, anzi: esclusivamente economiche, niente di personale, niente di niente: solo affari.