L’adozione di strategie manageriali per l’economia circolare può generare entro il 2030 un potenziale economico annuo da quasi 100 miliardi di euro nelle imprese italiane. È la conclusione dell’ultimo studio di Energy & Strategy, centro di ricerca multi-disciplinare della School of Management del Politecnico di Milano. Decisive, secondo gli autori, le ricadute positive delle pratiche di gestione. “Un sistema economico circolare – si legge nel rapporto – prevede una serie di comportamenti in grado di contenere rischi di varia natura: di mercato, operativi, di business e legali”. E ancora: “Vi sono evidenze che dimostrano come tale approccio si rifletta in un minore rischio di default sul debito ed una migliore performance risk-adjusted delle azioni delle società quotate”. Ottime prospettive, dunque. Anche se la strada da percorrere è ancora lunga.
Giunto alla sua seconda edizione, il Circular Economy Report 2021 offre un’analisi dei benefici attraverso i dati disaggregati per settore. Il calcolo è stato elaborato analizzando “le singole pratiche manageriali” che caratterizzano il paradigma. In questo modo gli autori hanno potuto stimare il peso percentuale delle pratiche stesse e le loro ricadute. Ipotizzando che tutte le aziende adottino queste soluzioni diventa così possibile stimare il potenziale di risparmio nei costi di produzione al 2030.
A trarre i maggiori vantaggi, quantificati in 37 miliardi, sarebbe il comparto costruzioni seguito dal food & beverage (20,2 miliardi di euro). Terzo posto per l’automotive (18,2 miliardi) che precede l’elettronica di consumo (12,9) e il settore machinery (6,2). Per il comparto mobili e arredamenti il taglio costi potenziale è stimato in 4,5 miliardi. Il risparmio totale si aggira quindi sui 99 miliardi.
“L’implementazione dell’Economia Circolare – si legge ancora nel rapporto – permette alle imprese di incrementare il proprio livello di innovazione grazie all’introduzione di nuove tecnologie e all’efficientamento dei processi”. L’operazione comporta investimenti iniziali. Ma le ricadute positive sui profitti sono evidenti.
Tra il 2016 e il 2019, ad esempio, le aziende monitorate che hanno adottato soluzioni circolari hanno sperimentato una crescita media del fatturato del 6%, un punto percentuale in meno rispetto alle imprese che non hanno sperimentato queste strategie. Per queste ultime, tuttavia, il margine operativo lordo – l’indicatore che evidenzia la redditività delle operazioni core di un’azienda escludendo quindi la gestione finanziaria, fiscale e patrimoniale – è aumentato soltanto del 5% contro il +8% registrato dalle aziende che hanno tentato la via della circolarità.
Nonostante tutto, però, l’ascesa del paradigma trova ancora una certa resistenza. Nel campione analizzato, segnala ancora lo studio, “poco meno di una azienda su 2 ha affermato di aver adottato almeno una pratica di Economia Circolare”. Tra coloro che non hanno sperimentato il paradigma (il 56% delle imprese) il 40% afferma però di aver intenzione di farlo in futuro. A conti fatti, due terzi delle imprese monitorate dimostrano comunque interesse nei confronti di queste soluzioni. Segno di una “crescita di consapevolezza ed interesse da parte del sistema industriale italiano”.
A destare qualche perplessità, segnala infine il rapporto, è però la percezione generale del tema. Spesso, infatti, il concetto di economia circolare tende ad essere confuso con quello di sostenibilità. Anche se le due dimensioni non possono essere sovrapposte (non tutto ciò che è sostenibile può dirsi circolare…). Significativa, inoltre, è una certa tendenza ad appiattire il paradigma della circolarità sulle strategie di riciclo. Lo stesso capitolo specifico del PNRR italiano, notano i ricercatori, resta fortemente centrato sul potenziamento della raccolta differenziata e l’ammodernamento degli impianti di trattamento rifiuti. Ma le strategie circolari, come noto, possono muoversi in direzioni diverse.
A segnalarle, in particolare, la Nuova Strategia Nazionale per il settore che dovrebbe essere approvata entro giugno 2022. E punta a “integrare nelle aree di intervento concetti quali ecodesign, eco prodotti, blue economy, bioeconomia, materie prime critiche”. Si tratta di aspetti decisivi, basati sulla progettazione del ciclo della produzione che possono avere un impatto particolarmente positivo nella gestione delle risorse, a cominciare dal suolo. Secondo una recente indagine della Ellen MacArthur Foundation, ad esempio, applicando il design circolare alla filiera del cibo, potremmo ridurre del 70% le emissioni dei comparti facendo crescere la redditività agricola.