Ho pensato al rapporto che esiste fra me e me. GESUALDO BUFALINO (da Tommaso e il fotografo cieco)

M’apre in un comico abbigliamento invernale-estivo: mutandoni di cotone fino alle caviglie (col termometro oltre i trenta!) e una impalpabile canottiera su un torace bianchissimo e untuoso d’antichi sudori. Non mi saluta nemmeno bensì continua un suo effusivo monologo: “L’età migliore per innamorarsi è la mia. Prima dei settant’anni si hanno idee molto confuse sulle donne e l’amore…”
provo a interromperlo: “Ci sarebbe… una firmetta, prego.”
mi abbraccia, mi toglie il registro dalle mani, lo posa sul pianoforte, mi obbliga a sedere, dolcemente forzandomi con le mani sulle spella: “un The? Viene da Manila. Fatto dalle mie mani.” Al mio diniego non si scoraggia. “Siediti, hai fretta? Se vuoi far piano una cosa, falla più piano. Peggio per chi deve correre quando tutto gl’imporrebbe di sdraiarsi.”
sta parlando di sé. Caso mai non l’avessi capito, specifica: “Come me, inseguito da creditori feroci…”
“Creditori? Tu?”
“Gli anni, i malanni,” spiega con una mimica della mano. Poi, ridendo: “Dover correre con un nome come il mio, figurarsi!” Rido anch’io, ma lui: “Ascolta”, mi fa, “cos’ho pensato stamani. Ho pensato al rapporto che esiste fra me e me. Dovrebbe essere un vincolo forte come l’acciaio. Così è in tutti gli animali, ogni animale si ama. Solo l’uomo ha scoperto che è più naturale non amarsi che amarsi…”
Il discorso m’interessa, apro le orecchie.
“Io mi disprezzo”, prosegue, “e cerco alleati. Non vuoi disprezzarmi un poco anche tu? Sarebbe un gesto d’amico.
“Disprezzarti? Faccio. “Non oserei.”
“Una solida antipatia,” proclama solennemente, “è il migliore fondamento di un’amicizia.”
“Voli troppo nuvoloso per me. Spiegati.”
“Scusami, ma la verità è sempre involuta. Hai mai visto gli americani alle prese con gli spaghetti? Altrettanto noi con la verità.”
non mi offendo, so che mi stima: “Bene,” lo supplico con un sorriso, “abbassati fino al mio scantinato.”
Prende un’aria da luminare ma intanto mi strizza l’occhio: “Apri la porta che arrivo. Ecco: partiamo da un dato inoppugnabile: la grandezza e la santità della vecchiaia. Un mio nonno socialista, quando in piazza lo costringevano a cantare “Giovinezza”, correva subito a casa a rileggere il De Senectute. Cosa voglio dire? Che un vecchio è bello come un albero vecchio, ha radici, memoria, sentimento sublime della morte vicina. Inoltre è più giovane d’un giovane, sopratutto se da giovane ha saputo essere vecchio. Non è un gioco di parole: bisogna essere stati molto vecchi da giovani, per saper essere giovani da vecchi. Solo che…”
Nonostante le buone intenzioni, mi capacito a fatica.
Lui insiste: “ Solo che non c’è gusto a essere ricchi quando gli altri sono poveri. In altre parole, mi pesa che ci siano altri vecchi fuori di me. Vorrei essere solo io a ricordare la voce di Zarah Leander o di Carlos Gardel, le sere di coprifuoco durante la guerra. Invece siamo ancora in tanti, sono geloso dei ricordi degli altri…”
“Questo che c’entra,” protestai, “con l’amarsi e il non amarsi?”
“C’entra,” rispose. “Come si fa ad amarsi quando si vive con se stessi 24 ore su 24? è più facile amare il prossimo, di cui si conosce solo il meglio in mostra, l’antologia. Legittimo quindi, direi fatale, che io mi sopporti a fatica. D’altro canto v’è tutta una ricchezza di memorie, albe, lune, visi innumerevoli, e, questa, come potrei non amarla? Qui sta la mia scissione: amo il vecchio ch’è in me, odio il giovane che sento d’essere ancora…”

——-> ALTRO DI: Gesualdo Bufalino