E fu così che l’uomo ebbe del risentimento contro sua madre. ANNIE LECLERC (Parole de femme)


C’era una volta. C’era la terra, il cielo, le notti, i giorni. La pioggia e il sole, il ciclo delle stagioni. C’era il seme che germogliava, l’albero che cresceva, si imponeva, prosperava, dava i suoi frutti, poi declinava in una lenta dolcezza. C’era il grembo delle donne che si sollevava, si gonfiava per lunghi giorni e da cui nasceva il nuovo essere. C’erano bambini che diventavano grandi, e grandi che si inchinavano alla terra, e morivano.
Le stelle giravano nelle notti, le stagioni tornavano alle stagioni, e le nuvole venivano portate via dal vento del tempo.
L’aria passava sopra le pelli accorte. La pietra consumata degli antenati rimaneva.
Il mondo era il matrimonio amoroso di una permanenza e di un passaggio. Vivere era la prova acuta del passaggio nella permanenza di tutte le cose, quando non s’era separato ciò che passava da ciò che restava. Ogni cosa vera era una casa e la collana dei giorni.
I corpi passavano nella loro dimora di corpo.
Senza tradimento il bambino emergeva nell’adulto, senza ferite l’adulto diventava vecchio, e si vedeva passare sul volto dell’anziano denudato il sorriso intatto del bambino.
Chiamavano vita il matrimonio indissolubile dell’essere e del divenire, del sempre presente e del mai più, dell’uguale e dell’altro.
E la loro risposta alla vita, che univa lo stupore al riconoscimento, la chiamavano amore.
Si guardavano, si riconoscevano, si stupivano di riconoscersi, simili e diversi, uguali e altri, legati e non legati, uniti e separati. Vedevano degli uomini e vedevano delle donne.
Cosa vedevano dell’uomo? Colui il quale la donna aveva portato in grembo, fatto nascere nella sua generosità fertile.
Cosa vedevano della donna? Colei dalla quale provenivano i nuovi esseri, uomini finiti e donne fertili, da cui poteva nascere di nuovo la vita.
Dalla donna nasceva la vita, il passaggio e la permanenza degli esseri. Solo la donna sembrava essere abitata, la detentrice del meraviglioso potere di tutte le cose.
Mentre gli uomini non sapevano ancora che quando si univano a loro, questo potere apparteneva anche a loro, la donna era l’oggetto di tutte le loro devozioni, innamorati come erano della vita.
La donna era il cuore della natura. Solo lei era nel segreto, ribadendo attraverso il proprio corpo il mistero di tutte le cose.
Il parto era l’atto più sacro, più terribile e più meraviglioso della vita.
E le donne di quel tempo erano fiere e belle.
E l’uomo portava, senza esserne oppresso, dalla sua nascita alla sua morte, uno status d’umiltà. La natura lo aveva reso utile e devoto. Ma era solo un ramo finito della vita. Quando veniva il momento di morire, come un ramo secco, si staccava dall’albero della vita, che continuava la sua luminosa fioritura senza di lui.
L’uomo serviva la donna nella misura in cui era il mezzo della vita mantenuta e conservata, l’intermediario tra la donna, fonte della vita, e la natura, ricca di ciò che la vita bramava.
L’uomo ha inventato l’utensile a sua immagine. Un oggetto prezioso che pure era, ma che non aveva un fine in sé, che era lì solo per servire la vita, e che veniva scartato appena non era più utile.
L’attrezzo risvegliò curiosamente la sua intelligenza. Egli considerò questo nuovo legame che lo univa all’utensile. Sapeva che si poteva fare un utensile o non farlo. Che il destino di una selce dipendeva da questo, pietra per scolpire o pietra da scolpire.
L’uomo si pose allora una domanda terribile: Perché lei e non io? Perché mi ha fatto diventare un uomo e non una donna? Perché l’aveva privato di ciò che aveva e poteva donare, la fertilità?
E fu così che l’uomo ebbe del risentimento contro sua madre.

*Annie Leclerc, Parole de Femme