Eravamo molto giovani. Credo che in quell’anno non dormissi mai. Ma avevo un amico che dormiva meno ancora di me, e certe mattine lo si vedeva già passeggiare davanti ala Stazione nell’ora che arrivano e partono i primi treni. L’avevamo lasciato a notte alta, sul portone ; Pieretto aveva fatto un altro giro, e visto l’alba addirittura, bevuto il caffè. Adesso studiava le facce assonnate di spazzini e ciclisti. Nemmeno lui ricordava i discorsi della notte : vegliandoci sopra, li aveva smaltiti, e diceva tranquillo : Si fa tardi. Vado a letto.
Qualcuno degli altri, che ci trottava dietro, non capiva che cosa facessimo a una cert’ora, finito il cinema, finite le risorse, le osterie i discorsi. Si sedeva con noi tre sulle panchine, ci ascoltava brontolare o sghignazzare, s’infiammava all’idea di andare a svegliare le ragazze o aspettare l’aurora sulle colline, poi a un nostro cambiamento di umore tentennava e trovava il coraggio di tornarsene a casa.
L’indomani costui si chiedeva : Che cos’avete poi fatto ? Non era facile rispondergli. Avevamo ascoltato un ubriaco, guardato attaccare i manifesti, fatto il giro dei Mercati, visto passare delle pecore sui corsi. Allora Pieretto diceva : Abbiamo fatto conoscenza con una donna.
L’altro non ci credeva ma restava interdetto.
Ci vuole perseveranza, diceva Pieretto. Si passa e ripassa sotto il balcone. Tutta la notte : lei lo sa, se ne accorge. Non c’è bisogno di conoscerla, se lo sente nel sangue. Viene il momento che non ne può più, salta dal letto, e ti spalanca le persiane. Tu appoggi la scala…
*Cesare Pavese, da Il Diavolo sulle Colline (LA BELLA ESTATE)