Grazia Deledda, quella meritrice maledetta spacciatrice di luoghi comuni – FLAVIO SORIGA

Grazia Deledda, quella meritrice maledetta spacciatrice di luoghi comuni
FLAVIO SORIGA (da Sardinia Blues)

Due anni fa, il mio amico Andrea Corda ha scritto un racconto che è arrivato secondo ad un concorso, San Gavino racconta, è andato alla premiazione ubriaco -Io sono il Bukowski della piana del Campidano-, ha detto al microfono quando è toccato a lui salire sul palco e ricevere il suo piattino di ceramica ricordo, -Sono un banale scrittore fallito-, ha detto quel pomeriggio in una sala piena di cinquantenni di paese, o almeno così mi ha raccontato Licheri che lui avrebbe detto, così Licheri ha riportato le sue parole, -Era incredibile sentirgli fare un discorso così lungo-, mi ha raccontato Licheri, -Era Corda, capisci?, il sintetico Corda, il lapidario Corda, l’ermetico Corda, e invece era lì in quella sala con il microfono in mano paurosamente ubriaco e in fondo forse deluso dalla mancata vittoria e parlava senza guardare il pubblico ma come fissando i suoi piedi eppure parlava-

E avrebbe detto, quel pomeriggio nella sala comunale di San Gavino, il nostro amico Corda -Io sono un narratore così modesto, così inconsistente che non convinco nemmeno i concorsi della parrocchia come questo, io sono uno scrittore votato al fallimento, e quel che peggio è che sono uno scrittore senza successo sardo, se fossi un giovane scrittore senza successo nordamericano potrei almeno sperare di diventare un giorno uno scrittore di successo nordamericano e di girare le città del mondo ubriaco e affascinante, Yes, my name is Corda, risponderei alle domande del pubblico e porterei i mei capelli ricci e scuri con arroganza, ma io sono invece soltanto un autore fallito sardo, e se anche finalmente a un certo punto dovessi riuscire a scrivere e pubblicare un grande libro e ad ottenere in questo modo un certo successo di critica e di pubblico, comunque, signori miei, sarei diventato al massimo uno scrittore di successo sardo, e allora la mia sorte sarebbe persino peggiore di quella attuale, perché dovrei girare per i premi letterari italiani davanti a un pubblico triste come questo di stasera, dovrei parlare dei monti e dei banditi e dei formaggi e dei pastori e dei carabinieri e del velluto e dei gambali e delle tradizioni millenarie e della natura incontaminata e delle spiagge cristalline e della generosità e dell’accoglienza delle nostre genti e tutto questo ciarpame maledetto che ci assilla e ci soffoca da centocinquant’anni, dovrei fare il tour dei Circoli dei Sardi della penisola e andare ospite della televisione nazionale in programmi in cui sarei indicato allo stupito Paese come il pinguino ammaestrato, l’incredibile indigeno dell’isola di Sardegna che sa anche leggere e scrivere, l’ennesimo narratore di una terra inenarrabile, di un mondo arcaico e affascinante fuori dal mondo e dalla modernità, Dio mio-

Così avrebbe proclamato Corda nel suo stato di alterazione etilica in una sala pietrificata dalla sorpresa mentre gli organizzatori si chiedevano se non fosse il momento di salire sul palco e togliergli il microfono dalle mani

-E in effetti, signori, io non riesco a capacitarmi del fatto che il mio raccontino sia arrivato tra i primi, non riesco a capire come abbia potuto una giuria di paesani come questa premiare un racconto folle e sbrindellato come il mio, non lo capisco, voi siete dei paesani innamorati dell’etnico posticcio, di questo sono profondamente convinto pur non conoscendovi, semplicemente perché i quattro quinti dei vostri coetanei dell’isola sono così, con i portachiavi dei nuraghe in sughero fatti in Cina, uguali ai siciliani con gli appendichiavi a forma di pupi e ai gallesi con le loro magliette con i draghi e a tutti gli altri piccoli popoli periferici e ridicoli, io sono fermamente convinto che tra le vostre opinioni ci sia, scolpita nel marmo, quella che Grazia Deledda sapesse scrivere davvero, che quella donna che ha osato chiamare un figlio Sardus, che quella meritrice maledetta spacciatrice di luoghi comuni facili e adulterati, che la nostra matrona malefica fosse una narratrice raffinata, e sono sicuro che invece non sapete per esempio chi sono Raymond Carver e Philip Roth, che non abbiate mai letto una sola pagina di questi eccelsi scrittori non sardi, questo ebreo e questo yankee addirittura contemporanei, orrore, voi mi fare schifo-, avrebbe detto Corda all’improvviso diventando rosso paonazzo rubicondo, -io voglio dimettermi da sardo, qui e ora a San Gavino davanti a voi, io sono il vostro nipote frocio che scappa a Londra per farsi i cazzi suoi, io sono vostro nipote drogato che scappa ad Amsterdam pur di non morirvi accanto, io sono vostro nipote disoccupato che vuole il sushi e se ne frega del porchetto di mirto e dei dolci al formaggio prodotti da un macchinario cinese in uno stabilimento a Macomer, siamo tutti globalizzati, signori, voi come me, non c’è scelta, è così, prendetene atto, io sono un fallito ma almeno vorrei essere un fallito americano, quanto lo vorrei, un fallito globalizzato, un fallito del mondo, non un patetico scrittore mancato di un’isola assurda, di un paese assurdo come il mio e come il vostro -, così avrebbe detto quella sera il mio amico Corda facendo cadere sul pavimento di quella sala comunale il suo piatto ricordo di ceramica artigianale e spezzandolo in centomila pezzi e provocando un rumore terribile e generando un sentimento di infinito scandalo tra i presenti e inimicandosi per sempre il pubblico dei suoi lettori di San Gavino, secondo quanto racconta il mio amico Licheri che era presente alla scena

*Flavio Soriga